Sarà proprio la globalizzazione a farci raggiungere gli obbiettivi per cui violentemente manifestano i contestatori irriducibili
A Seattle per l’Organizzazione del Commercio, a Genova per le biotecnologie, a Praga per il Fondo Monetario: ovunque si radunino organismi economici internazionali, accorre il variopinto circo Barnum dei professionisti anti-globalizzatori: ad essi è tempo sprecato esporre teorie ed esibire statistiche. Però la globalizzazione ha anche altri nemici: i moderati del “sì ma”, i progressisti del “prima le regole e poi il mercato”, gli intellettuali che temono l’omologazione sotto il “pensiero unico”.
A loro potrebbe interessare uno studio di Jeffrey Frankel di Harvard, che dimostra tre fatti abbastanza sorprendenti sulla globalizzazione. Primo: non è né nuova né irreversibile. Secondo: è lungi dall’essere completa. Terzo: è molto probabile che, anzichè minacciare, favorisca la diffusione di beni non economici quali equità sociale, sicurezza sul lavoro, rispetto dell’ambiente.
“Prima del 1914, scriveva Keynes nel 1920, un abitante di Londra standosene la mattina a letto sorseggiando il suo thè, per telefono poteva ordinare i prodotti di tutto il mondo, investire le proprie ricchezze nelle materie prime e nelle industrie in ogni angolo del globo”. All’inizio del secolo scorso il mondo era globalizzato circa quanto oggi: poi, un gigantesco balzo indietro. Bisogna arrivare al 1970 perché gli USA raggiungano il livello che avevano all’inizio del secolo. Nella globalizzazione non c’è nulla di inevitabile né di acquisito per sempre.
E neppure di completo: le economie ancor oggi sono poco integrate. Se ci fosse totale indifferenza tra commerciare all’interno o all’esterno del proprio paese, il volume degli scambi internazionali rapportato al PIL mondiale sarebbe 6 volte maggiore. Certo, ogni giorno cambiano di mano capitali per 1500 miliardi di $: ma i flussi netti sono molto inferiori, e l’Inghilterra investe oggi, in proporzione al suo PIL, meno di prima della grande guerra. Perché i titoli di aziende italiane sono sovrarappresentati nel portafoglio degli investitori italiani? perché gli scambi tra le ex-colonie di uno stesso paese continuano ad avere scambi più intensi tra di loro che con gli altri paesi? perché in Canada lo stato dell’Ontario esporta 3 volte di più verso la British Columbia che verso l’adiacente California, che ha una popolazione 10 volte maggiore, e perchè una merce subisce maggiori variazioni di prezzo attraversando il confine verso gli USA, che non viaggiando per 4000 km fino alla costa del Pacifico? Evidentemente perché i valori culturali sono molto più forti di quanto non si pensi.
E quanto alle conseguenze, a chi non si fida della teoria dei vantaggi comparati, a chi trova troppo generica la constatazione che la globalizzazione aumenta la concorrenza e così riduce il potere dei monopoli di aumentare i prezzi e quello delle grandi multinazionali di condizionare i governi, si propone un’altra considerazione.
Equità sociale, rispetto dell’ambiente, diritti umani sono “beni superiori” che le società sono disposte a comperare appena sono abbastanza ricche da poterselo permettere. Nessuno può negare che il reddito aumenti con l’aumento dei traffici: quindi sarà proprio la globalizzazione a farci raggiungere gli obbiettivi per cui violentemente manifestano i contestatori irriducibili
ottobre 19, 2000