Centrodestra di sinistra

dicembre 27, 2000


Pubblicato In: Giornali, Panorama

Ma è davvero fondata l’accusa che viene rivolta al centro destra e cioè che, se vincesse le elezioni farebbe una politica più di sinistra della sinistra?
Per evitare di impelagarsi nell’ormai infinito dibattito su che cosa sia di destra e che cosa di sinistra, vediamo in concreto di che si parla. Il Governo in generale accusa Berlusconi di proporre una politica di spesa facile, e di abbandonare la politica di rigore seguita dal centrosinistra per (quasi) tutta la legislatura. In particolare poi l’accusa per la proposta di aumentare le pensioni al minimo, subito ripresa da Bertinotti, con un emendamento, e quindi da Rutelli, con qualche imbarazzo del Governo.

Quello delle pensioni è poi un tema irrisolto anche senza nuove invenzioni, e cioè a legislazione vigente. La voragine pensionistica continua ad ampliarsi: un milione di nuove pensioni in arrivo nel 2001, e un deficit che nel 2003 schizzerà a 17.000 miliardi: non si può pensare di mettere anche questo a carico del circolo virtuoso su cui conta il centro destra – riduzione del prelievo, aumento della attività economica, maggior gettito.
A sinistra, in controcanto ai conservatori Cofferati-Salvi, si leva qualche voce a proporre l’elevazione dell’età pensionabile, il pro-rata per tutti, un patto sul TFR che faccia crescere il pilastro della previdenza integrativa individuale a capitalizzazione. Invece a destra silenzio.

Fin qui i fatti. Ma facciamo un passo indietro e chiediamoci: la sinistra ha diritto a fare questa accusa? No se guardiamo alla corresponsabilità che il PCI ebbe nei decenni in cui, pur stando all’opposizione, contribuì a creare la montagna di debito che portiamo sulle spalle.
Sì se guardiamo agli anni più recenti: perché alla sua prima esperienza di governo nella storia dell’Italia repubblicana, la sinistra ha adottato una politica di rigore, vuoi per le circostanze, vuoi per la volontà di Ciampi, vuoi per merito di quella radice azionista in cui anche Veltroni recentemente riconobbe l’ascendenza nobile della sinistra.

E ora veniamo al centrodestra: tra le sue anime culturali non c’è né la destra storica né la destra liberale di inizio secolo, non ci sono né Quintino Sella né Francesco Ferrara.
Berlusconi incessantemente si richiama alla “economia sociale di mercato”, i padri nobili se li sceglie accuratamente tra i cristiano sociali tedeschi che l’hanno inventata 50 anni fa. Evidentemente ha imparato la lezione del 1994, non promette più di portare in Italia riforme alla Reagan o alla Thatcher, sa che a sferrargli l’attacco mortale non furono solo i 2 milioni di pensionati portati a Roma dalle confederazioni, ma – come ricorda Sergio D’Antoni sul Corriere della Sera -la Lega stessa, preoccupata di perdere il consenso della sua base. Perché la realtà è che manca in Italia la base sociale a cui si rivolgeva il programma populista di Margaret Thatcher, quel ceto medio inglese che si sentiva schiacciato tra un ceto politico aristocratico e un sindacalismo esasperato.
Ci sono dunque tutti gli ingredienti perché Berlusconi, se vincesse le elezioni, adotti una politica interclassista, come quella che l’Italia ha avuto per tanti anni, al massimo con un’occhiata un po’ strabica ai mercati globali.
Non è detto che abbia ragione chi definisce questa politica “di sinistra”: di sicuro non ha torto chi ne resta deluso in nome del mercato.

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