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→  marzo 13, 2020


Intervista di Gianluca Zapponini a Franco Debendetti

Il problema non è fare o non fare la banda ultralarga, ma a chi affidare il controllo della futura società. Difficilmente la telco guidata da Gubitosi e il campione pubblico rinunceranno alla guida. E del partner scelto da Tim, Kkr, non si può fare a meno. E allora, perché non fare due reti, magari in concorrenza tra loro?

Tim spinge forte sulla rete unica. Ma la partita con Open Fiber è apertissima. Ieri il ceo della compagnia telefonica, Luigi Gubitosi, ha presentato alla comunità finanziaria le linee strategiche aggiornate al 2022, imperniate sulla nascita di una società per la rete unica, con cui portare la banda ultralarga in tutto il Paese.

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→  novembre 18, 2019

Caro,
Ti chiedo 5 minuti del tuo tempo e un click di consenso.
Di che si tratti lo spiega mia figlia Domenica.
Se vuoi sentire che cosa ha da dirti clicca qui.

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→  agosto 14, 2019


Philip Stephens is correct: there is certainly no bigger mistake than to confuse cause and effect (“Europe must set its own digital rules”, August 9). But if Europe lags behind the US in the knowledge economy, and now in the race for artificial intelligence, that is the cause of its lacking “companies of sufficient scale to compete with the Americans”, of its struggling “to nurture a culture of innovation”, and of not producing “enough top-flight computer scientists”; in no way can it be the effect. Companies don’t grow, and people don’t choose, in a vacuum.

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→  maggio 14, 2019


Quando vincono le priorità della politica

Non aver mantenuto sotto controllo pubblico la rete delle telecomunicazioni è l’argomento principe di coloro che considerano la privatizzazione di Stet (Società finanziaria telefonica s.p.a) un grave errore. Non si è persa nessuna occasione per cercare di porvi rimedio: prima, quella di vendere la rete per ridurre il debito, col piano Rovati; poi, quella di completare una società delle reti, mettendola insieme a Terna e Snam; infine, quella di colmare un ritardo del nostro paese nel dotarsi di una rete a banda ultralarga. L’Europa aveva fatto della connessione veloce a Internet una priorità, ponendo un duplice obbiettivo entro il 2020: dare al 100 per cento della popolazione connessione a 30Mbps e avere il 50 per cento popolazione attivamente connessa a 100Mbps. Una lettura drammatizzata della situazione italiana offre all’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi la possibilità di dimostrare che lui risolve problemi che altri hanno lasciato trascinarsi: dopo l’Ilva, in stallo con l’Europa la partita banche, è la volta della banda larga. Inizia così una vicenda controversa: ora che se ne delinea il possibile esito, conviene ripercorrerne le tappe e valutarne i risultati.

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→  aprile 19, 2019


Minitel funzionava nel 1981, il primo uso privato di Internet è di dieci anni dopo. La Programma 101 dell’Olivetti è del 1965, il personal IBM di dieci anni dopo, il Mac quasi di venti. Quaero, il motore di ricerca europeo che doveva far concorrenza a Google e a Yahoo! è del 2005; Qwant gli succede otto anni e molti miliardi dopo, e oggi aspira a prendere il 5% del mercato. Perché oggi l’Europa tra i grandi ha solo Spotify (che vale un ventesimo di Facebook) e SAS (che fa un altro mestiere)? Per capire le cause di questa singolarità è utile confrontare l’apparato ideologico alla base dell’articolo di Fabrizio Barca (12.4 su la Voce.info) con l’ambiente culturale in cui si è formata la società delle piattaforme.

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→  ottobre 4, 2018


Pensare alla lotta del populismo statalista contro le élite privatizzatrici è fuori luogo: queste in Italia non ci sono state in passato, e ancora oggi sono sostanzialmente marginali. Non c’è una rivolta del Lumpenproletariat contro le élite liberiste: quelle, se sono esistite, non sono mai state egemoni. Però è vero che nel breve arco di cinque anni, dall’avere la presenza dello Stato più grande che in qualsiasi altra economia occidentale, siamo passati a vincere l’Oscar delle privatizzazioni.

Che si tratti di Bekaert perché delocalizza la fabbrica o di Autostrade perché le crollano i ponti, la prima reazione dei gialloverdi e del M5S in particolare, è quella di mettere lo Stato al posto dei privati: una pulsione sottopelle che aspetta solo un fatto eclatante per trasformarsi in bubbone. Ma il tentativo di vederlo come un altro episodio della lotta del populismo statalista contro le élite privatizzatrici, è fuori luogo: queste in Italia non ci sono state in passato, e ancora oggi sono sostanzialmente marginali. Non c’è unas rivolta del Lumpenproletariat contro élite liberiste: quelle, se sono esistite, non sono mai state egemoni.

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