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→  febbraio 20, 2020


Al direttore.
Molto accomuna i due Matteo, nell’editoriale di Antonio Polito sul Corriere della Sera di mercoledì. Davvero a distinguerli sarebbero solo le contingenze del momento politico? Renzi liberò la sinistra dall’antiberlusconismo; Salvini ha infettato l’Italia con la paura dell’immigrato. Renzi scrisse una riforma della Costituzione che perfino Scalfari e Zagrebelski alla fine approvarono; la prospettiva che Salvini possa vararne una, senza neppure dover indire il referendum, terrorizza tutti. Renzi fa eleggere uno straordinario presidente; Salvini dal Papeete chiede i pieni poteri. Renzi vorrebbe che il Pd non fosse succube del M5s; Salvini del M5s ha condiviso e sfruttato il populismo. Renzi cerca di cancellare la legge sulla prescrizione; Salvini la promosse. Renzi trasformando le maggiori banche popolari in società per azioni ha assestato un colpo al capitalismo di relazione; Salvini e i suoi inviati preferiscono gli alberghi di Mosca; Renzi fa Industria 4.0; Salvini quota 100. Renzi con il Jobs Act aumenta la flessibilità del mercato del lavoro; Salvini chiudendo gli Sprar, mette nell’illegalità i migranti, favorendo così il caporalato se non peggio. E si potrebbe continuare.

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→  gennaio 22, 2020


L’idea della politica industriale continua a sedurre: i politici, che così pensano di dimostrare ai cittadini che hanno la situazione sotto controllo; gli imprenditori, specie quelli con qualche problema, che pensano che ci sia qualcosa da guadagnare da quello che i politici dovranno fare. Guadagnare di più è l’obbiettivo naturale delle aziende, non hanno bisogno di essere pungolate per perseguirlo. E quanto al Paese, bisognerebbe incominciare a non distruggere quello che c’è: leggi ILVA, Atlantia, e, se non ci fosse stato Marchionne a impedirlo, anche Pomigliano.

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→  dicembre 20, 2019


Lunedì scorso, Auditorium del Sole, assegnazione dei premi per la migliore qualità della vita delle città italiane: vince, per la seconda volta, Milano, non solo sui parametri economici, ma anche per servizi e per il livello culturale. Dopo il Sindaco Sala, parte un intervenuto registrato del ministro Lorenzo Fioramonti, il quale coglie l’occasione per sostenere (a Milano, poi!) che il PIL non è l’indicatore giusto per misurare il benessere. Osservazione già sentita in più pertinenti occasioni, ma preoccupante in bocca al ministro di un governo che il PIL proprio non riesce a farlo crescere, nonché esponente di un partito che, il PIL, ha fatto quel che poteva per farlo calare. E continua a farlo, con una serie di invasioni nel perimetro delle politiche industriali che ricordano temi e toni che si credevano consegnati al passato.

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→  novembre 29, 2019


La vicenda della Tirreno Power è davvero lo specchio di quella dell’Ilva, come titola un editoriale del 27 novembre? Se nel senso che entrambe furono bloccate da un “intervento giudiziario paralizzante”, certamente sì. Sì, probabilmente, perché come a Savona, anche a Taranto potrebbe risultare che non sono dimostrabili i nessi causali tra le emissioni, quelle reali e ancor più quelle consentite, e i danni sanitari. Sì, ancora, perché i provvedimenti giudiziari colpirono le aziende in un momento di gravissime crisi di Mercato, a Vado per la concorrenza delle fonti rinnovabili unita al calo della domanda dovuta alla crisi, a Taranto per la concorrenza della sovrapproduzione cinese, che colpa gravemente tutti gli acciaieri europei.

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→  novembre 23, 2019


“Il capitalista privato che spolpa Taranto ed esporta fondi neri” cosi Massimo Giannini su Repubblica di giovedì, con riferimento alla gestione dei Riva.
“Spolpa” Taranto? Con i Riva, Taranto produceva 8, perfino10 milioni di tonnellate di acciaio l’anno, dando lavoro a oltre 15.000 persone; oggi saremmo contenti con 5. “Esporta fondi neri”? Il 12 Novembre Ansa informava che la Procura di Milano ha chiesto l’archiviazione del fascicolo ‘contenitore’ da cui sono nate le varie indagini sui Riva e sui professionisti che erano finiti indagati a vario titolo per bancarotta, appropriazione indebita, riciclaggio e reati fiscali. E il 5 luglio 2019 il Tribunale di Milano ha assolto in primo grado Fabio Riva dall’accusa di bancarotta fraudolenta dell’Ilva, perché il fatto non sussiste. Non si può non riflettere su quanto queste vicende abbiano prodotto, come afflizioni alle persone e come contribuito alla rovina dell’azienda.
I “fallimenti” hanno sempre una causa, ciascuna sua propria: mettere tutto insieme, il vero e il falso, il pubblico e il privato, gli errori e le colpe contribuisce alla crescita di quella mentalità anti-industriale, di quei pregiudizi anti-competenze che sono terreno di coltura dei fallimenti: quelli di cui parla Giannini, e quelli più generali che affliggono questo Paese.

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→  novembre 12, 2019


Se lo stato non fa rispettare i contratti perché mai dovrebbe gestire un’acciaieria che non è il suo mestiere?

L’Ilva, oltre che acciaio, produce dividendi politici. È così fin dalla sua origine, nel 1959, quando Antonio Segni, presidente del Consiglio, per creare posti di lavoro nel Mezzogiorno, e contro il parere dei tecnici dell’Italsider, decide di dare il via a Taranto alla costruzione del quarto centro siderurgico.

Sessant’anni dopo sia la decisione di continuare a produrre acciaio, sia quella di chiudere tutto, pagano ciascuna un dividendo politico a una parte di cittadini. Se si fa la scelta di mantenere l’Ilva si incassa il dividendo da chi era favorevole. Ma poiché il grido di chi si oppone è più forte della voce di chi è d’accordo, diventa più forte il dissenso di chi era contrario, e quindi più alto il dividendo politico che si può incassare rovesciando la decisione.

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