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→  novembre 19, 2001


Rubrica “Porto Franco” sul congresso dei Ds

AL «porto franco» è approdata ieri una nave col gran pavese: un gran discorso di Giuliano Amato, uno straordinario esempio di oratoria politica. Ecco, mi dicevo, la voce che può conquistare consensi nuovi; e qualcuno, sottovoce, si è anche spinto a considerare che forse con uno come lui i risultati delle passate elezioni potevano essere diversi… Un’oratoria, quella di Amato, che spicca in un congresso in cui la vecchia scuola è risultata ancor più vecchia: le uniche altre voci che hanno suscitato entusiasmi sono state quelle di D’Alema e Veltroni. (Quest’ultimo però come presidente di un partito che avesse come segretario Sergio Cofferati, l’uno a richiamare la sinistra di valori, l’altro a tutelare la sinistra dei diritti acquisiti).

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→  novembre 18, 2001


Rubrica “Porto Franco” sul congresso dei Ds

Ma questi se lo pongono o no il problema di come e a chi prendere i voti che ci mancano? E’ la domanda che ci facevamo ieri dopo aver sentito gli interventi di Giovanni Berlinguer, Fabio Mussi, Pietro Folena, Giovanna Melandri, Cesare Salvi e molti altri del «correntone». Il fastidio per i cosiddetti «dieci anni di esami del sangue», tambureggiante sulle loro bocche, rivela proprio solo la pericolosa tendenza a sfuggire alla realtà amara delle ragioni della durissima sconfitta elettorale e a rifugiarsi nel ruolo minoritario e tradizionalmente «intransigentista» degli interessi della vecchia sinistra di classe?

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→  novembre 17, 2001


Rubrica “Porto Franco” sul congresso dei Ds

Non mi aspettavo citazioni poetiche da Fassino: ci ha dato un paio di Roosevelt e nessun Bernstein, e va bene così. La sua cultura non è quella dei cantautori. I documenti congressuali hanno una loro retorica ma Fassino i suoi punti fermi li ha messi. Sulla guerra e sui no-global innanzitutto.

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→  novembre 17, 2001


Intervista di F. For.

«L’articolo 18 non può più essere un tabù per una sinistra moderna e riformista». Il senatore Franco Debe­nedetti ha ripresentato il suo disegno di legge di riforma della disciplina del licenziamento per giustificato motivo economico. Ma è critico sulla delega chiesta da Berlusconi per alleggerire le rigidità sui licenziamenti. «Condivido il principio — spiega — ma la trovo timida in quello che toglie e avara in quello che dà».

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→  novembre 15, 2001


Partita doppia

Il titolo, sparato lunedì 5 novembre in prima pagina su cinque colonne dall’autorevole Financial Times era da far sobbalzare. ” Dubbi su come l’Italia si qualificò per l’entrata nell’Euro”. Operazioni sui derivati, spiegava il catenaccio, forse erano state usate per “occultare la dimensione del deficit”. E subito il pensiero andava a Mario Draghi, il direttore generale del Tesoro che per dieci anni aveva gestito il nostro gigantesco debito pubblico con riconosciuta perizia, confermata da prestigiosi premi i internazionali. E più su a Carlo Azeglio Ciampi, all’epoca titolare del dicastero, che aveva ribattuto colpo su colpo chi non credeva possibile che l’Italia passasse in un anno dal 6,3% al 2,8% di rapporto deficit/PIL. E più su ancora a Prodi, all’epoca presidente del Consiglio. Che ci fossimo sbagliati tutti?

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→  novembre 15, 2001


Al direttore.

Comincia il congresso ds. Altiero Spinelli al giovane Pietro Folena, che lo aveva criticato per avere approvato la rappresaglia contro la Libia ordinata da Reagan nel 1986, così rispose sull’Espresso, ultimo scritto pubblico di Spinelli prima della morte: “Come prima cosa ti consiglio di tener sempre presente che se ti capita di prendere un calcio nel sedere (da Gheddafi o da altri) la tua pri­ma reazione deve essere quella di restituirlo. Dopodiché mettiti pure a un tavolo a ‘far po­litica’ con chi te lo ha dato.

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