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→  febbraio 21, 1994


intervista di Alberto Papuzzi

«Io sono soltanto me stes­so. Non sono l’aanti Berlu­sconi. Come potrei?». Il gran borghese Franco Debenedetti rifiuta le etichette e si irrita garbatamente se la sua candidatura nel polo progressi­sta – collegio senatoriale numero 1 a Torino – viene messa in rela­zione con la rivalità tra Carlo Debenedetti, suo fratello, e Silvio Berlusconi, sua emittenza. Non è l’interprete di una guerra tra l’Ingegnere e il Cavaliere. «Però è vero – ammette – che la scesa in campo di Berlusconi mi ha dato ulteriori ragioni per essere nello schieramento progressista».

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→  gennaio 24, 1994


Quanti posti di lavoro sarebbero sufficienti per fare i beni che oggi vengono prodotti, applicando il mas­simo livello di tecnologia di­sponibile? Il calcolo, per la Germania, porterebbe ad una disoccupazione del 38%: e per l’Italia non sa­rebbe probabilmente molto diverso. L’assurdità sta nel metodo o nell’impostazione concettuale con cui viene af­frontato il problema della di­soccupazione?

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→  dicembre 17, 1993


L’aumento prepotente delle nascite di figli illegittimi, cioè venuti al mondo al di fuori di un nucleo familiare tradizionale, deve considerarsi una normale evoluzione dei costumi delle società metropolitane, oppure un nuovo fattore di allarme e destabilizzazione? La domanda può forse scandalizzare i laici fautori dei diritti civili, ma su di essa riflettono pure gli economisti e i sociologi.

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→  novembre 29, 1993


Temo che, dopo l’articolo di Gianni Vattimo (“Ripensare il buon progressista” La Stampa di venerdi’), il numero di chi,come il sottoscritto, si considerava progressista si sia ridotto di molto: chi si riconosce in quella descrizione?
Progressista sarebbe colui che rifiuta le pure e semplici logiche delle leggi economiche. Il criterio rischia di produrre significative esclusioni: non vi rientrerebbe Keynes, che pur sarebbe difficile includere tra i conservatori; e tanto meno Marx, che proprio dalla ferrea logica di leggi economiche traeva la teoria dell’inevitabilità della crisi del capitale e che non risulta vedesse nella solidarietà il mezzo per travalicarne i limiti. E neppure lo stato sociale tedesco, basato su un calcolo economico rigoroso.

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→  novembre 15, 1993


I Dieci comandamenti di Deng Xiaoping per il rilancio dell’«economia di mercato socialista» – che poi di fatto significa «capitalismo alla cinese» – ci confermano come il mondo stia cambiando sotto i nostri occhi, sicché non è neppure scontato che alla fine del secolo l’Europa occidentale e l’America del Nord possano ancora considerarsi il centro propulsivo dell’economia del pianeta.

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→  novembre 10, 1993


La brusca flessione registrata’ ieri dai titoli Sip e Stet è un segnale di allarme che sarebbe superficiale sottovalutare. Esso è tanto più eloquente se rapportato al reale contenuto della notizia: l’ipotesi di un accordo futuro e parziale (perché limitato alla sola trasmissione dati) tra France Telecom e la tedesca Telekom, con le apertura all’americana At&t. Questa reazione certo si inserisce nel generale nervosismo dei mercati. Ma a questo tono di fondo si è sovrapposta ieri la preoccupazione che alla fine ci si trovi a privatizzare un bene (il monopolio delle telecomunicazioni) che ha perduto il suo valore.

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