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→  aprile 21, 2022


La parola genocidio è ritornata più volte recentemente, da Zelensky alla Knesset come momento fondativo di quella nazione, da Biden come accusa, dalla CPI come possibile reato. Ma “genocidio” non è il superlativo di omicidio di massa, la sua unicità è oggettiva, non solo funzionale a isolare la mostruosità della Shoah. A illustrarlo serve un episodio accaduto durante la Seconda guerra mondiale in Ucraina e descritto da Jonathan Littell ne “Les bienveillantes”.

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→  aprile 15, 2022


La proposta di istituire un “tribunale speciale per Putin” (il Foglio del 21 marzo) aveva suscitato critiche opposte: per alcuni perché giudicata irrealizzabile, per altri perché considerata inutile. Irrealizzabile perché non si sarebbe mai trovato l’accordo tra Stati Uniti e Russia necessario per istituirlo. Inutile perché già esiste all’Aia la Corte penale internazionale (Cpi), istituita a Roma nel luglio 1998, con competenza sui crimini più seri che riguardano la comunità internazionale nel suo insieme, cioè il genocidio, i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra.

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→  marzo 29, 2022


Al direttore.
Anche se c’è sempre qualcuno che lo dice, è un nonsenso sostenere che in Italia – o negli Stati Uniti o in generale in occidente – non c’è libertà di parola. Chi dice il contrario confonde la libertà di parlare con la capacità di farsi ascoltare (o leggere): questa dipende dalla reputazione, quella guadagnata con la validità delle proprie idee e quella accordata da coloro che hanno il potere di farlo, i mezzi di comunicazione. Giornali, televisione, media digitali sono per la reputazione quello che le banche centrali sono per la moneta: hanno potere di crearla. Facendo circolare parole e idee, i media creano la reputazione degli autori, e si arricchiscono essi stessi del loro valore reputazionale. E’ una spirale: quanto più si accresce la reputazione del medium, e tanto maggiore è quella che può conferire. Non è l’oro nei forzieri, ma la reputazione che conferisce valore alla valuta. Anche le università conferiscono reputazione, di quell’oro sono i “forzieri”. Si è accumulata nei secoli proprio per la libertà di parola e di ricerca, che hanno garantito a pensatori e scienziati. La libertà è necessaria perché si attivi il meccanismo della peer review, uno dei pilastri della costituzione della conoscenza, cioè dell’epistemologia liberale.

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→  marzo 22, 2022


C’è solo un modo per rimediare ai cedimenti ed alle debolezze di questi anni, e di non stare al ricatto: dobbiamo interrompere i ricatti del criminale seriale; altrimenti ci sarà un’altra Mariupol, ci saranno altre Crimee, ci saranno alti ricatti

Quando ho letto che Kadyrov, il leader ceceno, forte di 15 anni di (dis)onorato servizio agli ordini del Cremlino, aveva spiegato che la guerra andava come andava perchè i russi non sono abbastanza spietati e prestano troppa attenzione ai civili, e quindi chiedeva a Putin di “chiudere gli occhi consentendo di farla finita in un paio di giorni”, dando a loro l’incarico di “liquidare” alcune personalità chiave ucraine, tra cui il presidente Zelesnky, mi è tornato in mente André Glucksmann, che in Francia era alla testa del movimento a sostegno alla causa cecena, e di denuncia dell’atteggiamento compiacente dei paesi occidentali verso Vladimir Putin, e gli orrori della sua guerra (allora non era ancora obbligatorio chiamarla operazione speciale) per la conquista della Cecenia.

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→  marzo 21, 2022


L’aggressione a uno stato è già riconosciuta come un crimine: serve un meccanismo specifico che lo punisca, scrive Murray Hunt

Come finirà questa guerra? Che cosa può far sì che non ci coinvolga tutti in un disastro? Certo, dare armi agli ucraini, in modo che il loro eroismo costi caro ai russi. Certo, le sanzioni economiche che faranno implodere l’economia russa. Forse, assuefarci all’idea che nella patria di Voltaire e di Kant possano essere usate bombe atomiche tattiche. Murray Hunt ha un’idea paradossale, e la espone in un saggio per Project Syndicate dell’11 marzo: un tribunale speciale per Putin.

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→  marzo 4, 2022


L’avevano chiamato Shamil il loro primo figlio (che sarebbe poi stato mio nonno materno). Shamil, come il leggendario capo della resistenza antirussa nella guerra del Caucaso dal 1834 al 1859, che era morto l’anno prima, nel 1870. Stabilito uno stato indipendente nel Daghestan, Shamil organizzò e rafforzò le forze cecene e daghestane e le guidò in imponenti incursioni contro le posizioni russe. La spedizione organizzata dai russi nel 1838 non riuscì a catturarlo, e così neppure quelle successive: si impadronivano di fortezze e città, ma Shamil riusciva sempre a sfuggirgli. Tra la sua gente era diventato una leggenda, e anche in occidente era visto come un romantico combattente per la libertà, una sorta di alleato di Francia e Inghilterra, e quindi dei nostri bersaglieri, nella guerra di Crimea.

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