→ marzo 1, 2017

Uno Stato che arretra agevola rendimenti e competizione. Il caso Telecom e il futuro della banda larga.
Ilva, Mps, banda larga: sono le tre “emergenze” che consentirono a Renzi di indossare i panni di “Mr.Wolf, risolvo problemi”, e di dimostrare che con lui le cose erano diverse, perché quella è l’Italia che cambia. Sappiamo come è andata a finire. Per Ilva, un paio di cordate di imprese sono in corsa per assicurarsi l’impianto di Taranto; ma non sembra abbiano trovato la soluzione né per produrre i volumi necessari per lavorare con profitto stando nei limiti dell’inquinamento, nè per recuperare parte dei mezzi finanziari per adeguare degli impianti. Per Mps, i 20 miliardi del governo e l’accordo di Bruxelles dovrebbero aver consentito di imboccare la strada giusta (sperando che non sia un dead end e alla fine ci sia l’uscita). Per la banda larga è tutto diverso: intanto non è un’emergenza che ti cade addosso, è più un obiettivo che un problema. Non ha una causa evidente, come l’inquinamento per Ilva, i crediti deteriorati per Mps. C’è una causa remota: da noi mancano del tutto le reti per la televisione via cavo che esistono negli altri paesi e vengono conteggiati come connessioni in fibra: fu la Stet stessa, all’epoca di Telebiella, a farsi fare una legge per bloccarle. Ma in tempi di internet, qual è la causa del ritardo italiano nella bandalarga, la mancanza di domanda o di offerta, troppi pochi computer o troppo poca connettività? Per Renzi la risposta è netta e univoca: il problema è la mancanza di connettività, la connettività è quella con la fibra, la fibra deve arrivare fin dentro la casa, per metterla ci vuole un concorrente di Telecom Italia, la rete che realizzerà deve essere alla fine proprietà dello Stato. Un po’ statalista lo erano anche le risposte alle altre “emergenze”, Cdp ha un piccolo ruolo in Ilva, avrebbe dovuto averlo anche in Mps finché le dimensioni erano “umane”. Ma sulla bandalarga l’approccio diventa conclamato, ne segue il canone più classico, “scegliere il vincitore”. Il governo decide sulla tecnologia (fibra più Ftth), sull’azienda (prima Cdp con Metroweb, poi anche Enel), sull’assetto del settore (due reti in concorrenza, la pubblica di Infratel e la privata di Telecom Italia).
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→ febbraio 14, 2017

Ci sarà un’Unione europea a diverse ven locità”, aveva detto Angela Merkel il 4 febbraio a Malta, spiegando “che tutti i paesi non parteciperanno ogni volta a tutte le tappe dell’integrazione”. Invece in molti intesero che avesse parlato di un euro a due velocità, tanto che qualche giorno dopo, incontratasi con Mario Draghi, la cancelliera ritenne necessario ribadire pubblicamente che aveva parlato di Europa e non di euro.
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→ febbraio 1, 2017

Ci sono molte cose che il Governo potrebbe fare, ma non c’è modo di farle. È il momento di contendere al populismo lo spazio in cui cresce.
Che si vada a votare quest’anno o l’anno prossimo, non c’è modo per il governo di intestarsi un progetto riformista. Non c’è lo spazio operativo, perché tra retaggi del passato – legge elettorale, interventi su voucher e appalti – , l’eterna incompiuta – pensioni di cui completare i decreti attuativi -, newcomer – le Ape volontaria e sociale, il programma contro la povertà – e (a sognare) la legge sulla concorrenza, l’agenda è già fin troppo fitta. E non c’è lo spazio politico, perché articolare un progetto riformista richiede non la ragion pratica di uno scorcio di legislatura, ma la ragion pura di un programma di governo.
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→ gennaio 4, 2017

Tout se tient. Ma tenere insieme in una pagina un ragionamento che, partendo dal sistema paese, attraverso inclusione sociale, contrasto del populismo, valori della società aperta, tutela più assertiva degli asset, moral suasion per Mediaset, muso duro per Montepaschi, progetto di nuova Europa dei fondatori, settori prioritari di investimento, reddito di inclusione, occupazione e dumping sociale, legge elettorale, governo Gentiloni come ponte per un governo Renzi che metta in sicurezza il sistema paese, così chiudendo con eleganza l’arco retorico che proprio di lì aveva preso le mosse: beh, è un pezzo di bravura di cui bisogna dare atto al ministro Carlo Calenda, e a Mario Sensini che l’ha intervistato. Pauca minora canamus: io mi limiterò a elaborare su uno dei punti, quello della rete di grandi imprese come tutela degli asset strategici.
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→ dicembre 17, 2016

Al direttore.
Succede un fatto che suscita emozioni e preoccupazioni; si chiede al potere pubblico di porvi rimedio; e i mezzi con cui si chiede di farlo sono quelli che, usati in passato, ne sono stati la causa. Succede anche nella vicenda Mediaset-Vivendi: anch’essa riguarda il presente ma non può dimenticare il passato, e per questo “non è legata semplicemente alla conquista di una delle più grandi aziende italiane”, come scriveva giovedì il direttore. Si determinano quindi due ambiti di discorso, che conviene tenere separati: uno dei fatti che “semplicemente” sono, e uno di quelli che “non semplicemente” potrebbero essere e forse saranno: e del perché lo sono. Il discorso del “semplicemente” è quello che sta facendo il presidente Gentiloni, e di cui è doveroso dargli atto: questa operazione, ha detto a Class Cnbc, non coinvolge lo Stato.
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→ dicembre 16, 2016

Al direttore.
Tutto è normale nell’Itis Pininfarina di Moncalieri e nelle sue merendine. Normale che l’autorità reprima un’attività che, se generalizzata, trasformerebbe la scuola in un suk; normale (siamo ottimisti, è Natale) che qualcuno vi veda un’iniziativa “imprenditoriale” da premiare. Normalissima poi la protesta degli studenti, al punto da rendere l’episodio un apologo di come vanno le cose nel nostro paese. Da noi non manca chi si accorge delle inefficienze, vede i vantaggi che con l’eliminarle verrebbero a sé e ad altri. Ma il cittadino diffida dell’iniziativa individuale, sta dalla parte di chi difende le regole, e sopporta il danno che gliene deriva. Nessuno se la prende col regolatore (il preside), che con le sue regole (le merendine si possono comperare solo alle macchinette) crea un monopolio, e non si cura di controllare il costo (bastava che andasse a comperare una merendina al supermercato) e negoziare il prezzo (vendere grosse quantità senza commessi dovrebbe consentire prezzi ancora inferiori. La gente ha paura della libertà, non crede nei benefici della concorrenza. Vale per le merendine come per i servizi pubblici locali, per l’istituto di Moncalieri come per le municipalizzate del comune. E alla maggioranza sta bene: il preside rimane al suo posto, e nessun sindaco ha perso le elezioni perché non ha eliminato un monopolio.
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