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→  settembre 25, 2019


Al viaggiatore che, sceso dall’aereo a Londra di prima mattina il mercoledì 18, avesse preso la sua quotidiana copia del Financial Times, saranno strabuzzati gli occhi: una copertina giallo canarino a racchiuderlo, recante un solo titolo, a caratteri cubitali (tipo “Fate Presto”, tanto per capirci): “Capitalism, time for a reset”. Che cosa si debba intendere (“reset” si traduce con ripristinare o con azzerare) lo spiega sul retro una lettera del direttore Lionel Barber: la ricerca di massimizzare il profitto, la dottrina della shareholder value è sotto pressione, da oggi profitto sì ma con una finalità (purpose). Un autentico cambio di paradigma: chi da decenni ha letto il FT come la bibbia del libero mercato nel Paese dell’IRI prima e della CDP oggi, come la voce del mercato finanziario moderno nel Paese del capitalismo delle scatole cinesi e delle partecipazioni incrociate, ha ben di che strabuzzare gli occhi.

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→  settembre 13, 2019


Fake news, hate speech, interferenze sulla sicurezza nazionale: quando i Big Tech fanno male. Ma una regolamentazione privata dei contenuti è preferibile a una pubblica

Il Congresso non promulgherà leggi per il riconoscimento ufficiale di una religione, o che proibiscano di professarla liberamente, o che limitino la libertà di parola o di stampa, o il diritto delle persone di riunirsi pacificamente in assemblea e di fare petizioni al governo per la riparazione dei torti”.

Il Primo Emendamento della Costituzione americana sancisce l’inviolabilità della libertà di parola; parola è la “materia” di cui sono fatti i social media. Questa intersezione, tra il pilastro su cui si fondano la società e la cultura americana e il nuovo prodotto dell’industria e della tecnologia americana, è stata cruciale per il formarsi dei social media e per le decisioni su come regolamentarli; consente anche di capire il diverso sviluppo che essi hanno avuto in Usa e nell’Unione europea.

Oggi i social media sono al centro di molteplici accuse: di favorire una parte politica rispetto a un’altra, di essere strumento di interferenze straniere nelle elezioni, di non eliminare messaggi che diffondono odio e falsità, di intrappolare i loro utenti in bolle cognitive. Donde le richieste che un intervento governativo ne regolamenti i contenuti. John Samples, in un paper per il Cato Institute (“Why the Government Should Not Regulate Content Moderation of Social media, Policy Analysis”, Cato Institute, 9 aprile 2019, nr. 865) approfondisce le implicazioni giuridiche del testo costituzionale, e ne deriva una conclusione che suona eretica nel nostro discorso politico: che è preferibile il controllo privato della parola, e che i tentativi di un controllo pubblico normalmente falliscono; per cui è bene che a controllare i contenuti siano soggetti privati e non funzionari pubblici.

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→  settembre 11, 2019


Al direttore.

“L’abbiamo scampata bella”: finito di ascoltare il pacato discorso di Conte ieri alla Camera, mi è tornata in mente l’intervista a Matteo Salvini fatta da David Parenzo e Luca Telese nell’ultima trasmissione di “Fuori Onda”, prima che ieri sera ritornasse Lilli Gruber con il suo “Otto e mezzo”. Chi ha visto Salvini lo ricorda di certo, chi non l’ha visto se la vada a rivedere: la violenza emanante dall’immagine, l’assertività impenetrabile delle frasi, le pervicacia nel non rispondere alle domande. Proprio, evitando che, andando a votare adesso, la coalizione di Salvini potesse modificare a suo piacere la costituzione-più-bella-del mondo, l’abbiamo scampata bella.

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→  settembre 2, 2019


L’Europa non basta. Che cosa può fare il prossimo governo per archiviare il doppio populismo, per ridare energia all’Italia ed evitare che la pazza svolta in Parlamento diventi un regalo per i nuovi e per i vecchi estremisti. Ottimisti e pessimisti a confronto in un “girotondo” di idee.

Obiettivo dopo aver visto l’abisso: la crescita.

Abbiamo visto l’abisso: il rischio che, per la prima volta nella storia repubblicana, un’elezione conferisse ad una maggioranza il potere di superare i paletti che la Costituzione-più-bella del mondo mette a difesa della nostra democrazia. E abbiamo comperato tempo: non abbiamo eliminato il rischio, ma l’abbiamo dilazionato. E’ costato caro, al Paese, non solo alle forze politiche che l’hanno contrattato: per evitare di aver buttato invano capitale politico bisogna mettere mano ad un programma di governo che dia la garanzia di disinnescarlo.

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→  maggio 17, 2019


Al direttore.

Vent’anni fa le grandi banche svizzere accettarono di versare $1,25 miliardi ai sopravvissuti ai campi di sterminio per chiudere la vertenza sui fondi di giacenza di superstiti dell’Olocausto o dei loro discendenti. Le banche erano incolpate di non aver ricercato o di non averlo fatto con adeguati mezzi e impegno, gli aventi diritto, se c’erano, di quei fondi. Fondi dormienti sono anche quelli depositati presso le banche italiane. Ovviamente nessun paragone, ma solo analogia in una questione giuridica.

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→  maggio 8, 2019


Al Direttore.

La chiamano “porn law”: è la legge per evitare che i minorenni possano accedere a siti con contenuti per soli adulti; dovrebbe consentire al Regno Unito di diventare “il posto più sicuro per essere online”. Prevede che a quei siti si possa accedere solo esibendo dati di documenti (passaporti, patenti, carte di credito). A parte l’efficacia del provvedimento (i giovanetti che hanno messo a profitto gli insegnamenti digitali non avranno difficoltà ad aggirarlo usando i Virtual Private Networks; gli altri potranno accedere tramite i social, a cui la norma per il momento non si applicherà) ci sono i rischi derivanti dal mettere in rete dati che consentono di identificare persone adulte. Una delle aziende private che dovranno verificare questi dati appartiene a una società che possiede anche i maggiori siti pornografici; i dati degli utenti potrebbero venire collegati alla loro cronologia di ricerca, e magari rivenduti ad altri.

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