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→  dicembre 9, 2021


Un libro di Preciado offre lo spunto: in una società dove ci sono migliaia di bambini nati in famiglie non eterosessuali e non binarie, non ha senso affermare l’universalità della differenza sessuale

Al direttore.
“Misgendering” è il neologismo che significa l’usare pronomi o declinare aggettivi del genere attribuito alla nascita e non di quello scelto in seguito. Fatto per disattenzione, è uno sbaglio di cui scusarsi al più presto, fatto intenzionalmente è un’offesa che può costar cara. È quello che è successo al deputato americano Jim Banks, per aver detto pubblicamente che la promozione a generale a quattro stelle di Rachel Levine, la prima attribuita a un trans, era data a un uomo maschio. Contro di lui, il “j’accuse” dei nostri giorni, i social, che hanno oscurato tutti i suoi account.

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→  novembre 26, 2021


Strategicità della rete unica? Parliamone. Imporre lo spezzatino sarebbe un segnale pessimo per il paese

“Franco, ho convinto Bertinotti: la vendiamo tutta!”. La voce al telefono è quella di Carlo Azeglio Ciampi, e ciò di cui parla è Stet, poi Telecom Italia, oggi Tim. Allora si discuteva se il governo dovesse tenere una quota dell’azienda, e “tutta” voleva dire il 100 per cento delle azioni. Oggi “tutta” ha un altro significato, tutto quanto c’è nel perimetro aziendale di Tim S.p.A. Gli statalisti che allora volevano che il governo conservasse una parte delle azioni, oggi vorrebbero che prendesse un pezzo di azienda. Quando la parola ha cambiato significato?

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→  ottobre 29, 2021


“Le Fondazioni possono detenere partecipazioni di controllo solamente in enti e società che abbiano per oggetto esclusivo l’esercizio di Imprese Strumentali”. È singolare che, con tutto quello che è stato scritto in questi giorni sulla vicenda Montepaschi Unicredit nessuno, a meno di mia distrazione, abbia ricordato che cosa recita il comma 1 art 6 del decreto legislativo 17 maggio 1999 n. 153. Perché la Fondazione, frankensteiniana creatura della legge Amato per essere proprietaria della banca senese, ha posseduto la maggioranza assoluta delle azioni del Monte dei Paschi di Siena per più di due decenni, fino al 2012. Posso testimoniare che in tutto quel tempo l’anomalia venne più volte rilevata e segnalata: purtroppo nonostante le estenuanti discussioni su quella legge, a nessuno venne in mente di mettere la norma di chiusura: e se, avendo una partecipazione di controllo, non vogliono disfarsene, che cosa succede? Nulla: a Siena la Fondazione ha continuato a nominare gran parte del consiglio di amministrazione della banca, compreso il presidente e l’amministratore delegato. E siccome a Siena la nomina dei vertici della Fondazione erano appannaggio della politica locale, la Banca Monte dei paschi di Siena ha continuato ad essere pubblica fino a vent’anni fa. Pubblica non nel senso che era proprietà del Ministero dell’Economia, ma nel senso che veniva gestita nella logica e seguendo gli interessi della politica: E si sa quale “politica” fosse dominante a Siena, e meglio di tutti dovrebbe saperlo Enrico Letta, senatore recentemente eletto in quel collegio. Quei politici sono nei ritratti di famiglia del partito di cui è segretario. Quando lo si sente porre come condizione per la vendita il conservare la “senesità” dell’Istituto, vengono, a esser gentili, i brividi: che egli lo sappia o che non lo sappia a rovinare la banca sono state quelle gestioni. Quella è stata la “senesità” e da ben prima dell’acquisizione di Antonveneta nel 2007. Chi pensa ad un futuro pubblico della banca, dimentica che essa è stata sempre pubblica: locale o statale, la logica è sempre la stessa: per il lignaggio di quella che, come stucchevolmente si ripete, è la banca più antica del mondo, come per la livrea di Alitalia. Conta solo quanto costano oggi e quanto potrebbero fruttare domani.

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→  ottobre 23, 2021


I media e la fabbrica delle notizie nell’èra dei social e dopo Trump

“II punto di non ritorno per il collasso del sistema di produzione e distribuzione dei giornali si situerà tra la metà e la fine degli anni 20. Una lunga serie di chiusura di giornali continuerà fino a metà degli anni 30: cinque anni di agonia, seguiti da dieci anni di convulsioni, e poi la morte”. E’ perentorio Andrey Mir, fin dal titolo del suo libro, “Il post giornalismo e la morte dei giornali”. Le nuove tecnologie di comunicazione hanno messo in moto il processo, ma sono fatti demografici a renderlo inevitabile. L’idea che i giornali siano importanti per preservare la democrazia è legata a fattori generazionali: scomparsa la generazione che nutre queste idee, non ci sarà più ragione per la loro esistenza: le ragioni di mercato sono già scomparse, e quelle sociali sono legate alla restante vita dell’ultima generazione che ha letto giornali. La fine dei giornali non è la loro transizione al digitale: il giornalismo come lo conosciamo non sopravvivrà nello spazio digitale. Non è una crisi ciclica, è la fine di un’epoca.

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→  ottobre 21, 2021


Al direttore.

Nel suo speciale, il Foglio riferisce dei nuovi magneti superconduttori realizzati da Eni per ottenere il contenimento del plasma nei reattori nucleari a fusione che, a differenza di quelli a fissione attualmente in uso, non producono scorie radioattive. Per raggiungere questo obiettivo è in costruzione a Cadarache, nel sud della Francia, un reattore sperimentale da parte del consorzio Iter, costituito nel 2007 con la partecipazione di Unione europea, Russia, Cina, Giappone, Usa, Corea del sud. Il 60 per cento circa dei contratti industriali è stato aggiudicato ad aziende italiane. All’origine la data di completamento era prevista per il 2019 e il costo era di 10 miliardi€, diventati 15 nel 2009. Nel 2016 la data veniva spostata prima al 2025, poi al 2035. Queste informazioni sarebbero utili per rendersi conto dell’entità dei problemi, e quindi anche per valorizzare l’importanza dell’innovazione annunciata da Eni.

ARTICOLI CORRELATI
Can Nuclear Fusion Put the Brakes on Climate Change?
di Rivka Galchen – The Newsyorker, 04 ottobre 2021

→  ottobre 16, 2021


Al direttore.
Da quando ci sono i vaccini, ho ripreso le settimanali cene a casa mia con amici romani conosciuti nei miei dodici anni da senatore. Ciascuno di loro dà per scontato che io garantisca che tutti siano vaccinati. Sto contribuendo a un errore politico, come teme l’Elefantino del 14 ottobre? Sono davvero in conflitto l’interesse pubblico e… il diritto alla cena? Il lavoratore vaccinato ha il diritto di non avere accanto a sé dei non vaccinati: è un diritto riconosciuto dalla legge, che pone in capo al datore di lavoro la responsabilità di garantire la salubrità dell’ambiente di lavoro. E se insieme a Ferrara si sospetta che impedire a chi non ha il green pass o equivalente di andare in fabbrica o in ufficio sia qualcosa “che assomiglia molto a un abuso”, o il governo dà una manleva ai datori di lavoro riguardo alla salubrità dell’ambiente di lavoro (cosa ovviamente assurda) oppure gli dà i mezzi per non ammettere i non vaccinati o non tamponati. Etica? Diritto formale.

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