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→  ottobre 4, 2010


di Giuliano Ferrara

Ci sono cose insopportabili al gusto del mondo. Una di queste è la destra. La destra che parla a voce alta, che pretende di avere dei diritti, che strepita e gesticola e magari bestemmia, oppure che prega e assume pose devote. Bestemmia o preghiera, aggressività o vittimismo, non importa.
La destra è sempre repellente. Non corrisponde al canone del mainstream, dell’ideologia corrente. Una volta è troppo ignorante. Un’altra volta è sofisticata in modo luciferino, è cultura caduta dall’empireo delle buone intenzioni solidali, è esoterismo, elitismo. La destra non piace al punto che contro di lei è eccitante la bastonatura.

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→  settembre 27, 2010


di Alessandro Penati

CARO presidente Geronzi,
le scrivo per esprimerle pubblicamente la mia gratitudine e ammirazione per l’intervista concessa a questo giornale, che oserei definire memorabile. Ma, d’altra parte, a questi exploit, dovremmo essere abituati: altrettanto memorabile fu quella rilasciata al Sole-24 Ore nell’agosto 2008. Sono memorabili perché attribuiscono un significato pratico e preciso a concetti astratti: sono veri contributi epistemologici che ci rivelano il vero volto di una realtà che ci circonda, ma della quale siamo inconsapevoli testimoni.

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→  settembre 26, 2010


di Francesco Pacifico.

«Freedom» scatena polemiche e divide i lettori: scettici ed entusiasti. Ecco le loro ragioni.

Jonathan Franzen torna nelle librerie americane con un nuovo romanzo, Freedom, a un decennio dal successo delle Correzioni, e in America si formano due fronti rumorosi di detrattori e sostenitori, mentre «Time» gli dedica una copertina, come a uno scrittore non capitava dal 2000. Il libro è troppo coinvolgente per rivelarne le trame multiple e intrecciate – si parte comunque dal binomio letterario americano di famiglia disfunzionale e tardo capitalismo già affrontato nelle Correzioni – ma voglio lasciare ai due fronti in lotta il compito di illustrare pregi e difetti.

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→  settembre 22, 2010


di Francesco Giavazzi

Non è il disaccordo sulla presenza dei libici che ha indotto le fondazioni italiane e gli azionisti tedeschi a sfiduciare Alessandro Profumo, peraltro senza scegliere subito un sostituto, come dovrebbe avvenire in una grande banca internazionale. Sarebbe infatti sciocco opporsi a un socio di minoranza che non esita a mettere mano al portafogli quando la banca ha bisogno di capitale fresco. La Libia è solo un pretesto. Il vero scontro che oppone Profumo ai grandi azionisti della banca è la sua decisione di trasformare Unicredit da una somma di feudi locali (Monaco di Baviera, Verona, Torino, Modena, Treviso…) in una struttura unica, come lo sono le grandi banche internazionali, ad esempio Hsbc (Hong Kong and Shanghai Banking Corporation), la più estesa e la migliore banca al mondo.

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→  settembre 18, 2010

di Giovanni Valentini

Gli uomini del centrosinistra hanno commesso gravi errori che hanno agevolato l’ ascesa di Berlusconi. (da “Berlusconi e gli anticorpi” di Paolo Sylos Labini Laterza, 2003 – pag. 28) Diversi lettori hanno scritto piuttosto allarmati al Sabato del Villaggio, dopo aver letto la rubrica della settimana scorsa intitolata “Se il Cavaliere compra il Corriere della Sera”, in cui si annunciava che il 31 dicembre prossimo scadrà il divieto stabilito a suo tempo dalla legge Mammì di acquisire il controllo di quotidiani per chi possiede già tre reti televisive. E si ricordava contemporaneamente che giace in Parlamento una proposta di legge, di cui il primo firmatario è l’ ex ministro Paolo Gentiloni, per prorogare ulteriormente questa eventualità al 2015. L’ articolo non è piaciuto, invece, all’ ex senatore Franco Debenedetti che in una lettera esprime il suo “netto disaccordo”.

E l’intervento merita un chiarimento e una replica: non solo perché proviene da un personaggio che è stato parlamentare per tre legislature (1994, ‘ 96 e 2001), prima nelle liste del Pds e poi in quelle dei Ds. Ma soprattutto perché, al di là delle migliori e più rispettabili intenzioni, rivela una sconcertante disinformazione e una sostanziale indifferenza sul tema nevralgico del conflitto di interessi, entrambe diffuse purtroppo anche in una parte dell’opinione pubblica di sinistra. “Dalla Mammì – scrive Debenedetti – sono passati 20 anni, nel mondo dei media è successo di tutto. Che la Repubblica Italiana anno 2010 stabilisca per legge che il matrimonio tra televisione e giornali non s’ ha da fare, mai, in nessun caso, mi pare un’idea assai poco illuminata, proprio da non andarne fieri”. In realtà, la legge Mammì non stabiliva affatto un divieto assoluto di incrocio fra tv e giornali. Quella legge, approvata dal Caf (Craxi-Andreotti-Forlani) dopo l’occupazione selvaggia dell’ etere da parte Di Sua Emittenza, era una legge-fotografia che si limitava a ratificare l’esistente, cioè il fatto compiuto. Tuttavia, per un minimo di pudore o di decenza, all’articolo 15 introduceva un “Divieto di posizioni dominanti”, fissando appunto una griglia nell’incrocio fra tv e carta stampata: chi deteneva già il 16 per cento della tiratura complessiva dei quotidiani italiani, non poteva avere neppure una concessione televisiva nazionale; chi deteneva l’8 per cento della tiratura dei quotidiani, poteva avere una sola concessione tv; e infine chi deteneva una quota di tiratura inferiore, poteva averne al massimo due. A quell’epoca, come si ricorderà, la Fininvest possedeva già Canale 5, Italia Uno e Retequattro. Per cui, non solo non avrebbe potuto ottenere una terza concessione nazionale, come la Corte costituzionale ha più volte sancito in nome del pluralismo e della libera concorrenza: tant’è che siamo arrivati fino al cosiddetto “decreto salva-reti” nel 2004 e alla legge-vergogna che porta la firma dell’ ex ministro Gasparri. Ma, proprio in forza di quella timida normativa anti-trust, il Cavaliere non poteva mantenere la proprietà del Giornale, ceduto infatti al fratello Paolo con gli esiti che sono ormai sotto gli occhi di tutti. Sorprende e sconcerta, perciò, che un ex parlamentare del centrosinistra non conosca o non ricordi bene il testo della legge Mammì. Certo che il “matrimonio fra televisione e giornali”, come lo chiama Debenedetti, s’ha da fare: tanto più nell’ era della convergenza e della multimedialità. Il punto non è questo, bensì il livello di concentrazione che si realizza nel campo dell’informazione e della raccolta pubblicitaria, a danno di tutti gli altri media. Ma ancor più sorprende e sconcerta che un ex parlamentare del centrosinistra difenda perfino la legge Gasparri che, dietro il paravento del digitale terrestre, di fatto ha consolidato e rafforzato il duopolio di Rai e Mediaset nel settore della televisione generalista, in chiaro, quella che più fa opinione e influisce più ampiamente sulla formazione del consenso. Eppure, una recente indagine del Censis documenta che i telegiornali restano il mezzo principale per orientare il voto, soprattutto fra le casalinghe (74,1%), i meno istruiti (76%) e ancor più trai pensionati (78,7%). Per l’ex senatore Debenedetti, una concentrazione come quella che si realizzerebbe nell’ipotesi che Berlusconi comprasse il Corriere della Sera, o qualsiasi altro quotidiano, “non è neppure fantapolitica, è surreale”. E comunque sarebbe impedita dal decreto legislativo del 31 luglio 2005 (n. 177 – art. 43). Ma abbiamo già visto fin troppo in passato come si aggirano o si eludono le leggi anti-trust in questo campo. La proposta presentata dall’ex ministro Gentiloni resta perciò quantomai valida e attuale.

→  settembre 12, 2010


di Rajan Raghuram G.

Raghuram Rajan, author of Fault Lines, wins the Financial Times and Goldman Sachs Business Book of the Year award.

Lionel Barber, FT editor and chair of the judging panel, praised Fault Lines as a “serious and sober book” for a time when “sobriety is a virtue”.

The book identifies the causes of the crisis in global financial system, describes the possible remedies, but also emphasizes the need for painful reforms to prevent future crises.

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