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→  settembre 19, 2011


di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi

Se consideriamo i conti pubblici al netto degli interessi sul debito – il miglior indicatore della politica fiscale di un Paese – nel 2012 la Francia avrà un disavanzo pari al 2,4% del Prodotto interno lordo, l’Italia un avanzo del 2%. L’avanzo italiano sarebbe addirittura superiore a quello tedesco, stimato all’1,4%. Perché allora, se i nostri conti pubblici stanno tanto meglio di quelli francesi, Moody’s sta considerando di declassare l’Italia e non la Francia? E perché i mercati sono tanto preoccupati per il nostro Paese?

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→  settembre 15, 2011

di Giorgio Meletti

Un’assordante allegria ha accolto una delle proposte più strampalate degli ultimi anni. Il banchiere Alessandro Profumo, disoccupato di lusso da un anno, ha lanciato in un’intervista al Corriere della Sera di domenica scorsa la sua brillante idea di “un’operazione fiscale per consentire un abbattimento del debito in un colpo solo”, con un’imposta patrimoniale. Dose da cavallo: 400 miliardi di euro. In un colpo solo. La raffinata cultura finanziaria di Profumo deve averlo allontanato dalla calcolatrice Divisumma che lo accompagnava agli esordi. Ma tutti fanno finta di niente.

Primo dubbio. La patrimoniale sulle grandi ricchezze proposta dalla Cgil punterebbe a un gettito di 15 miliardi. La patrimoniale sugli immobili proposta dal segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, produrrebbe 5 miliardi di euro. Profumo ha detto 400. O Cgil e Pd difendono i ricchi, oppure il banchiere ha dato i numeri. Secondo dubbio. In Italia 400 miliardi di euro non ci sono.

Secondo il Bollettino Statistico della Banca d’Italia il denaro circolante, cioè esistente, nel Paese ammonta (giugno 2011) a 145 miliardi di euro. Cioè, se tutti si svuotano i portafogli, rapinano i soldi dalle casse dei supermercati, svaligiano il contante presente in tutte le banche e gli sportelli postali, mettono insieme 145 miliardi. Poi ci sono i soldi messi in banca. I depositi sui conti correnti ammontano a 785 miliardi, e comprendono anche i conti della Fiat e dell’Eni, i risparmi della vecchietta e gli incassi appena versati dall’idraulico. Sommando tutto, gli italiani posseggono in tutto 930 miliardi di euro. Profumo vorrebbe che 400 di questi 930 miliardi volassero nelle casse dello Stato allo schioccar delle sue dita. Questa è però la cosiddetta liquidità, mentre Profumo vuol tassare il patrimonio. Vediamo.

Gli ultimi dati di Bankitalia su “La ricchezza delle famiglie italiane” dicono che il patrimonio totale dei privati cittadini è di ben 8.600 miliardi di lire. Dentro c’è tutto: case, posti auto, immobili commerciali, beni strumentali degli artigiani, Bot e Cct, polizze vita, azioni e obbligazioni, soldi in banca e sul libretto postale o della coop. Dice la Banca d’Italia che il 10 per cento della famiglie italiane possiede il 45 per cento di tutti i beni. Ecco i ricchi che Profumo vuole tassare: 2 milioni e 400 mila famiglie, un patrimonio di 3.870 miliardi di euro, 1,6 milioni di euro a famiglia.

In media ciascuna delle famiglie ricche dovrebbe versare al ministro Profumo 160 mila euro. Ma non li hanno. Infatti ci sono in giro 930 miliardi di euro. Una quota importante appartiene alle società, diciamo il 30 per cento. Del 70 per cento rimanente alle famiglie, diciamo che i ricchi “tassandi” ne hanno il 45 per cento, quindi 290 miliardi. Ne devono dare 400 a Profumo. Non potendo restare senza neppure un euro da dare al lavavetri, prelevano dalle banche 200 miliardi e ne lasciano depositati 90.

Le banche, private di colpo di un quinto dei depositi, rischiano la bancarotta, ma pazienza. Restano da trovare gli altri 200 miliardi. Bisogna vendere qualcosa. La ricchezza degli italiani è fatta per due terzi dagli immobili e per un terzo da titoli finanziari. Il ceto medio spesso ha la casa e basta. Quindi ipotizziamo che i ricchi abbiano per metà case e per metà titoli. Diciamo che devono vendere di corsa 100 miliardi in case e 100 miliardi in titoli. Guardiamo le proporzioni.

Un giorno, su ordine di Profumo, 2 milioni e 400 mila capifamiglia ricchi vanno a vendere titoli per 100 miliardi di euro in una Borsa dove il valore totale di tutte le azioni quotate è oggi di poco superiore ai 300 miliardi. Nel frattempo mettono in vendita case per 100 miliardi. Prevedibile un crollo dei prezzi immediato. Ma, a parte questo, dove sono gli italiani non ricchi pronti con 200 miliardi di euro liquidi da dare ai ricchi in cambio di case e titoli per consentire loro di pagare la patrimoniale risolutiva?

Visto che non esiste abbastanza denaro in giro per pagare i 400 miliardi di Profumo, lo Stato potrebbe accettare in pagamento i suoi stessi Bot, Cct e Btp. Gli italiani, secondo la Banca d’Italia, posseggono titoli di Stato italiani per 190 miliardi. I ricchi, quelli del 45 per cento di cui sopra, ne hanno dunque per 80-90 miliardi. Non bastano, ma sarebbe un’idea anche questa: lo Stato scova i ricchi, di cui Bankitalia non ha gli indirizzi, e requisisce i loro titoli di Stato. Sono 90 miliardi anziché 400, ma sempre meglio delle briciole di cui parlano Pd e Cgil. E poi c’è il vantaggio che se lo propone Profumo non si incazza nessuno.

→  settembre 7, 2011


di Jean-Paul Fitoussi e Gabriele Galateri di Genola

Caro direttore, le difficoltà dell’area euro sono legate alla governance più che ai fondamentali
economici. Negli Usa, al contrario, la sovranità del governo federale e la disponibilità di
strumenti centrali di politica economica adeguati permettono il rifinanziamento a tassi
storicamente bassi sui titoli del Tesoro, e la Fed può acquistare, senza vincoli, buoni del
Tesoro. L’Eurozona è forse persino in migliori condizioni, le finanze pubbliche meno
degradate di quelle americane. Tuttavia, per ora, il suo sistema di governance è tale che
nessuna istituzione ha la sovranità necessaria per finanziare gli Stati membri, che non hanno
sovranità monetaria. La Bce non può intervenire in base ai trattati europei. Nell’Eurozona non
esiste poi una vera solidarietà di bilancio. La sovranità limitata degli Stati membri li colloca
quindi sotto la tutela del mercato e l’impatto delle agenzie di rating.
Il caso Italia è esemplare: fondamentalmente solvibile, dotata di un patrimonio netto privato e
pubblico (pro capite) tra i più alti al mondo, i mercati la trattano come se improvvisamente
fosse divenuta insolvente, nonostante l’alto tasso di risparmio e un deficit contenuto. Il difficile
approvvigionamento sui mercati per l’Italia nei prossimi mesi (circa 150 mld di titoli in
scadenza), conferma questo paradosso. Occorre alleggerire la pressione sui titoli di Stato per
dare sufficiente spazio e tempo al programma di riforme per la crescita. Come fare? Un
elemento di sovranità nazionale che gli Stati possono ancora mobilitare è la tassazione.
Partiamo quindi dal dibattito su una possibile patrimoniale in aggiunta alla manovra corrente,
una misura difficile da introdurre sul piano sia politico che tecnico.
La ricchezza finanziaria delle famiglie italiane è molto concentrata: circa il 50% in mano al 10%
più ricco. Tale potrebbe essere la base imponibile di una patrimoniale. Di recente si è già
parlato della possibilità di un intervento proattivo della parte più facoltosa del Paese, pronta a
contribuire al risanamento economico e finanziario del Paese stesso. Tuttavia sarebbe
rischioso procedere ad una riforma fiscale sotto la pressione del breve termine. Una
patrimoniale sarebbe certo una misura di equità, ma andrebbe strutturata rispettando l’insieme
del sistema fiscale per essere nel contempo giusta ed efficiente. Se tutti i Paesi europei
modificassero la fiscalità sotto la pressione delle circostanze, senza coordinamento, ne
nascerebbe una acerrima concorrenza fiscale.
Come sfruttare questo elemento di sovranità, e ridare forza al Paese sui mercati, evitando però
gli svantaggi di una nuova imposta? Tramite un prestito forzoso. Proponiamo quindi di
introdurre un prestito forzoso decennale, nella forma di una sottoscrizione ad una o più
emissioni dedicate di titoli di Stato. A parità di gettito, tale proposta, implicando la restituzione
del patrimonio a scadenza dei titoli, sarebbe più accettabile per gli interessati e anche più
equa, in quanto i titoli vengono sottoscritti dai contribuenti più abbienti, ad un tasso di interesse
basso, simile a quello pagato sui titoli tedeschi. Già in Francia il prestito forzoso è stato
utilizzato con successo, ad esempio dal governo Mauroy, per facilitare, nei primi anni Ottanta, il
rimborso del debito estero.
Semplificando, il risultato della sottoscrizione forzosa sarebbe l’incremento di gettito derivato
dall’innalzamento dell’attuale aliquota patrimoniale (in realtà sui cespiti patrimoniali, Ici e altro)
sul Pil, dall’attuale 2,1% al livello in vigore nel Regno Unito, del 4%. Ciò genererebbe nuove
risorse per circa 30 miliardi di euro annui. La ricchezza delle famiglie italiane è stimata pari a
circa sei volte il Pil: perciò il flusso aggiuntivo sarebbe pari a poco più dello 0,3% della
ricchezza totale, un ammontare ragguardevole.
Il fabbisogno finanziario dello Stato nei prossimi 12 mesi è di circa 150 miliardi di euro, da
ripartire tra autunno 2011 e primavera 2012. Di questi, i titoli a lungo termine (Btp) superano i
100 miliardi. Un prestito forzoso di circa 30 miliardi a partire dalla prossima primavera potrebbe
certo contribuire ad alleggerire tale pressione in misura non marginale. Tale provvedimento
potrebbe durare, in maniera irrevocabile, alcuni anni (magari la durata di una legislatura)
permettendo un parziale ribilanciamento del possesso del nostro debito pubblico a favore degli
investitori nazionali non istituzionali, contribuendo, anche in base all’esperienza storica bene
illustrata da Reinhart e Rogoff in This time is different, a ridurre significativamente le aspettative
di default sul debito pubblico.
Perché un simile provvedimento sia credibile, sia per i sottoscrittori, che per i mercati
finanziari, le aspettative del mercato devono essere ancorate verso il basso dal religioso
rispetto degli obiettivi di disavanzo e da un piano credibile di riforme strutturali, per avviare la
crescita del Paese. Requisito imprescindibile per il sostegno al nostro Paese, anche da parte
delle autorità europee. Affinché le emissioni collegate al prestito forzoso siano più accettabili, si
può, inoltre, introdurre forme di «collateral», legate ad esempio al patrimonio immobiliare dello
Stato e alle partecipazioni statali nelle aziende private. Tuttavia crediamo che il prestito debba
essere effettivamente forzoso e che non basti ipotizzare sottoscrizioni volontarie. Non si potrà
evitare che l’emissione sia per alcuni aspetti atipica. Molti problemi rimangono aperti, come per
una patrimoniale pura. Riguardano soprattutto la fattibilità e le modalità giuridiche del prestito e
la garanzia dell’equità nella determinazione e nell’identificazione dei soggetti e dei patrimoni
imponibili. Se l’equità è rispettata e le risorse deriveranno principalmente dagli strati più favoriti,
il prestito forzoso non avrà un effetto restrittivo sulla domanda, né diverrà un vincolo alla
crescita.

→  agosto 25, 2011


di Mara Gergolet

dalla rubrica LA LENTE

E alla fine non se ne è rimasto zitto neppure il presidente tedesco, Christian Wulff. Contravvenendo alla (propria) etichetta e alle regole che si era autoimposto («il presidente non parla della Bce né per criticarla, né per congratularsi», giugno 2011), ieri con un discorso davanti a una platea di premi Nobel dell’ Economia a Lindau, è andato all’ attacco della Banca centrale europea.

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→  agosto 18, 2011


di Albert-Lászlo Barabási

“Oggi quasi tutto ciò che facciamo lascia briciole digitali in qualche database. [...] Certo, l’esistenza di queste registrazioni solleva questioni enormi legate alla privacy, un problema di estrema importanza. Ma crea anche un’opportunità storica, offrendo per la prima volta dati oggettivi con un livello di dettagli senza precedenti sul comportamento non di un singolo, ma di milioni di individui. Negli ultimi anni questi database sono finiti in laboratori di ricerca di vario genere, dove informatici, fisici, matematici, sociologi, psicologi ed economisti hanno potuto analizzarli con l’aiuto di potenti computer e di una vasta schiera di nuove tecnologie. Le conclusioni sono mozzafiato: i dati dimostrano in modo convincente che la maggior parte delle nostre azioni è guidata da leggi, schemi e meccanismi che in quanto a riproducibilità e capacità predittiva uguagliano quelli individuati nelle scienze naturali. [...] Seguendo le tracce di queste scoperte arriveremo a considerare i ritmi della vita come segni di un ordine più profondo che caratterizza il comportamento umano, ordine che può essere esplorato, previsto e senza dubbio sfruttato. [...] Più a fondo le esamineremo, più sarà evidente che le azioni umane seguono schemi semplici e riproducibili, governati da leggi di vasta portata. Dimenticate il lancio dei dadi e le scatole di cioccolatini come metafore della vita. Pensatevi come un robot sognante guidato dal pilota automatico e sarete molto più vicini alla verità”.

Lampi
di Albert-Lászlo Barabási
Einaudi, 2011, pp. 324

→  agosto 14, 2011


«Uno scandalo il prelievo oltre i 90 mila euro»

«Stanno asserragliati in due chilometri quadrati nel centro di Roma, rinchiusi nei Palazzi della politica e non si rendono conto di quello che il Paese reale sta attraversando…». La domanda è lì, scende o non scende in politica, ma Luca Cordero di Montezemolo allarga il campo: «Non è questo il punto, adesso. Adesso è il momento di uscire dall’emergenza. Di ricostruire questo Paese. Di smetterla con il vizio antico della classe politica di rimuovere i fatti, anche la memoria di come si è arrivati a questo punto drammatico, pur di rimanere in sella. Non abbiamo mai sentito pronunciare da un politico una sola frase di assunzione di responsabilità».

Il premier ha detto che questa manovra gronda sangue, sacrifici per tutti…
«Farei un piccolo passo indietro. Siamo arrivati qui dopo che per mesi ci siamo sentiti raccontare che tutto andava bene. Ad ogni dato negativo seguiva sempre una rassicurazione del governo. Che bisognava solo far passare la nottata. Il ministro dell’Economia ha dispensato lezioni a tutti, economisti, imprenditori, sindacati e persino alla Banca d’Italia. Ed ecco dove siamo».

Certo, anche l’opposizione ci ha messo del suo…
«Ho sentito dall’opposizione teorizzare la propria superiorità morale e poi ho letto fatti di cronaca e tangenti. Ho sentito spiegare che i problemi dell’Italia iniziano e finiscono con Berlusconi, senza il quale vivremmo in un paradiso terrestre. Ma dimenticano anche loro gli anni non certo felici del centrosinistra. E tanto per fare un esempio: proprio il Pd ha votato contro l’abolizione delle province. Neppure la Lega fa eccezione, ha voluto la duplicazione degli uffici ministeriali nella Reggia di Monza».

Finalmente qualcosa si è mosso però, via una trentina di province e un bel po’ di privilegi.
«A Novembre? Dopo un censimento? Speriamo che sia cosi».

Almeno cominciano.
«Le sembra che abbiamo molto tempo davanti? La sensazione è che la gestione della crisi da parte del governo sia stata confusa e pasticciata. Liti personali, annunci, promesse di taglio delle tasse, la Lega che difende le poltrone. La maggioranza sembra un Circo Barnum».

Meno male che è arrivata la lettera della Bce…
«A nessuno piace farsi commissariare, ma ce la siamo cercata. L’intervento della Bce è stato fondamentale. La manovra di luglio era da minimo sindacale, chiaramente insufficiente. Sta accadendo una cosa importante: chiediamo all’Europa una governance comune ma in cambio vengono chieste a noi, e a tutti gli Stati membri, regole di comportamento rigorose. Uno scambio equo, direi. Per questo la proposta di Nicola Rossi sul pareggio di bilancio in Costituzione è fondamentale».

Dopo quella lettera la manovra è salita alla cifra record di 45 miliardi. Potranno bastare?
«Il decreto andava fatto, urgentemente. Abbiamo rischiato seriamente di entrare nel circolo vizioso greco. Ma non è all’altezza dell’emergenza in cui si trova il Paese. E soprattutto non affronta i veri nodi strutturali. Ancora una volta è un rimedio insufficiente».

Ma come? Età più alta per il pensionamento delle donne, prelievo sopra i 90 mila euro, addizionale per gli autonomi. Tfr congelato due anni per gli statali…
«Mi sembra positivo l’innalzamento a 65 anni per le donne ma è stato un errore gravissimo non toccare le pensioni di anzianità. Quello del prelievo sui redditi oltre 90 mila euro è invece uno scandalo puro e semplice».

Sono i redditi medio-alti…
«Non scherziamo, colpiscono chi vive di stipendio e paga quasi il 50% di tasse e vede persone intorno a sé che guadagnano molto di più dichiarando poco o nulla».

Ma il governo che strade aveva davanti?
«Vendere e dismettere e, se non fosse stato sufficiente, un vero contributo di solidarietà da chi se lo può davvero permettere».

Quale?
«Meglio varare un’imposta una tantum sui patrimoni superiori ai 5 o ai 10 milioni di euro, andando a colpire in questo modo anche gli evasori».

Una patrimoniale?
«Una cosa è chiedere un contributo di solidarietà a me o a Berlusconi, una cosa è colpire un dirigente con famiglia a carico».

Ma siamo sempre allo stesso punto, con un debito pari al 120% del Prodotto interno lordo risanare è un’impresa impossibile…
«Non credo proprio. Prima di mettere le mani nelle tasche dei cittadini bisogna ribaltare il rapporto: lo Stato deve assumersi l’80% dell’onere di questo risanamento. E solo dopo aver dato l’esempio può chiedere il 20% ai cittadini. Come? Vendendo, dismettendo, tagliando. Succede invece esattamente l’opposto. Uno slogan: prima vendete la Rai, poi venite a chiedere soldi».

Nel decreto ci sono le privatizzazioni delle municipalizzate e le liberalizzazioni.
«Al momento sembrano esserci solo indirizzi generici. Poco più che qualche buona intenzione. Non è quello di cui c’è bisogno. Ci sono tre priorità assolute che vanno messe in cima all’attività di governo: aggredire drasticamente il debito pubblico e riportarlo sotto il 100% del Pil, diminuire i costi di gestione del Paese. Rimuovere tutti gli ostacoli allo sviluppo delle imprese».

Su questo il governo vuole modificare l’articolo 41 per togliere lacci e lacciuoli…
«Quando sento Tremonti parlare di liberalizzazioni con la vuota retorica sull’articolo 41 mi viene da sorridere. Assieme ad altri abbiamo investito un miliardo per poter competere con le Ferrovie nell’Alta velocità e ogni volta ci troviamo davanti qualche ostacolo. Il ministero dell’Economia ha lasciato mano libera al monopolista».

Qui però lei ha un interesse privato, le Fs un interesse pubblico.
«Ah si? Io credevo che l’interesse pubblico fosse quello di far crescere l’economia, l’occupazione e la concorrenza. Ma come pensiamo di attrarre investimenti esteri se sono intralciati anche quelli italiani?».

Per ridurre il debito cosa bisognerebbe fare?
«A parte cedere le municipalizzate e quello che resta delle aziende non strategiche, bisogna accelerare la vendita del patrimonio, soprattutto immobiliare, che oggi non è messo a reddito. Anche scelte impopolari ma eque. Un gigantesco piano di dismissioni. Caserme, tribunali. Le faccio un esempio: a Napoli il molo San Vincenzo, una delle darsene più belle del mondo, è abitato da pochi militari».

Ma chi comprerebbe il nostro patrimonio immobiliare?
«Penso a un’agenzia pubblico-privata che ne curi il collocamento. Gli investitori non mancherebbero. Siamo a un momento decisivo, all’ultima chiamata».

Con l’anticipo del pareggio la situazione dovrebbe rimettersi a posto?
«Magari. Non basta. Abbiamo bisogno di un’operazione verità sullo stato del Paese. Direi che c’è bisogno di una nuova ricostruzione. I provvedimenti non sono quelli di cui l’Italia aveva bisogno ed è la prova che l’esecutivo sta finendo la benzina. Quel che è peggio è che la situazione dei mercati non ci consente di rimettere tutto in discussione. I saldi vanno assicurati per evitare il disastro».

Una ritirata dello Stato?
«Un cambio di passo. Ridefinire il rapporto tra Stato e cittadini è un problema con cui si stanno confrontando tutti i grandi Paesi. Oggi abbiamo uno Stato debole ma pervasivo, dobbiamo trasformarlo in uno Stato fortissimo nel suo core business – welfare, sicurezza, giustizia, scuola, difesa – che deve uscire da tanti settori dove crea spese, inefficienze e corruzione. La Cassa depositi invece di investire miliardi in fondi che rilevano aziende e persino aereoporti privati e reti elettriche, dovrebbe vendere. Vendere. Vendere e casomai costruiamo qualche infrastruttura».

Ma per fare questo forse bisognerebbe tornare ai governi tecnici degli anni Novanta?
«Non c’è bisogno di salvatori della Patria. Nell’emergenza dobbiamo per forza sostenere il governo, che pure ha completamente deluso. Ma se il governo continuerà a dimostrarsi non all’altezza dell’emergenza, allora è necessario che la parola torni rapidamente ai cittadini con le elezioni. Alla fine di questa legislatura bisogna voltare pagina».

Lei parla di ricostruzione…
«Dico che ci son molte persone per bene che vogliono impegnarsi, è necessaria una ricostruzione anche etica. I bizantinismi non hanno più spazio. Persino nella finanza e nell’industria personaggi che sembravano inamovibili sono tramontati, assieme a rituali vecchi e tutti italiani. Nella politica non è ancora successo e il bilancio della Seconda repubblica appare già fallimentare».

Si prepara lei per la Terza?
«Ognuno dovrà fare la sua parte nei diversi settori della vita civile, solo così un Paese pieno di eccellenze potrà risollevarsi».

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Se le toppe sono peggio del buco
di Franco Debenedetti – Il Sole 24 Ore, 18 agosto 2011