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→  settembre 19, 2011

Relazione di Francesco Forte

1.E’ molto strano che si sostenga che è necessario vendere un a parte rilevante del nostro patrimonio immobiliare pubblico e privatizzare le imprese pubbliche statali e sopratutto locali per abbattere il debito pubblico e, nello stesso tempo, si sostenga che per risanare i nostri conti pubblici occorre una imposta patrimoniale. Chi dovrebbe comperare gli immobili pubblici e le azioni delle imprese pubbliche privatizzzate , se popi rischia di pagarci una imposta patrimoniale?. E a quale prezzo si pensa di vendere questo patrimonio, se si preannuncia che il suo valore di mercato sarà intaccato da una patrimoniale ? Forse non si vogliono fare queste dismissioni di patrimoni pubblici.
Grosso modo , ci sono, sul campo , tre proposte di tassazione patrimoniale

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→  settembre 19, 2011


di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi

Se consideriamo i conti pubblici al netto degli interessi sul debito – il miglior indicatore della politica fiscale di un Paese – nel 2012 la Francia avrà un disavanzo pari al 2,4% del Prodotto interno lordo, l’Italia un avanzo del 2%. L’avanzo italiano sarebbe addirittura superiore a quello tedesco, stimato all’1,4%. Perché allora, se i nostri conti pubblici stanno tanto meglio di quelli francesi, Moody’s sta considerando di declassare l’Italia e non la Francia? E perché i mercati sono tanto preoccupati per il nostro Paese?

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→  settembre 15, 2011

di Giorgio Meletti

Un’assordante allegria ha accolto una delle proposte più strampalate degli ultimi anni. Il banchiere Alessandro Profumo, disoccupato di lusso da un anno, ha lanciato in un’intervista al Corriere della Sera di domenica scorsa la sua brillante idea di “un’operazione fiscale per consentire un abbattimento del debito in un colpo solo”, con un’imposta patrimoniale. Dose da cavallo: 400 miliardi di euro. In un colpo solo. La raffinata cultura finanziaria di Profumo deve averlo allontanato dalla calcolatrice Divisumma che lo accompagnava agli esordi. Ma tutti fanno finta di niente.

Primo dubbio. La patrimoniale sulle grandi ricchezze proposta dalla Cgil punterebbe a un gettito di 15 miliardi. La patrimoniale sugli immobili proposta dal segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, produrrebbe 5 miliardi di euro. Profumo ha detto 400. O Cgil e Pd difendono i ricchi, oppure il banchiere ha dato i numeri. Secondo dubbio. In Italia 400 miliardi di euro non ci sono.

Secondo il Bollettino Statistico della Banca d’Italia il denaro circolante, cioè esistente, nel Paese ammonta (giugno 2011) a 145 miliardi di euro. Cioè, se tutti si svuotano i portafogli, rapinano i soldi dalle casse dei supermercati, svaligiano il contante presente in tutte le banche e gli sportelli postali, mettono insieme 145 miliardi. Poi ci sono i soldi messi in banca. I depositi sui conti correnti ammontano a 785 miliardi, e comprendono anche i conti della Fiat e dell’Eni, i risparmi della vecchietta e gli incassi appena versati dall’idraulico. Sommando tutto, gli italiani posseggono in tutto 930 miliardi di euro. Profumo vorrebbe che 400 di questi 930 miliardi volassero nelle casse dello Stato allo schioccar delle sue dita. Questa è però la cosiddetta liquidità, mentre Profumo vuol tassare il patrimonio. Vediamo.

Gli ultimi dati di Bankitalia su “La ricchezza delle famiglie italiane” dicono che il patrimonio totale dei privati cittadini è di ben 8.600 miliardi di lire. Dentro c’è tutto: case, posti auto, immobili commerciali, beni strumentali degli artigiani, Bot e Cct, polizze vita, azioni e obbligazioni, soldi in banca e sul libretto postale o della coop. Dice la Banca d’Italia che il 10 per cento della famiglie italiane possiede il 45 per cento di tutti i beni. Ecco i ricchi che Profumo vuole tassare: 2 milioni e 400 mila famiglie, un patrimonio di 3.870 miliardi di euro, 1,6 milioni di euro a famiglia.

In media ciascuna delle famiglie ricche dovrebbe versare al ministro Profumo 160 mila euro. Ma non li hanno. Infatti ci sono in giro 930 miliardi di euro. Una quota importante appartiene alle società, diciamo il 30 per cento. Del 70 per cento rimanente alle famiglie, diciamo che i ricchi “tassandi” ne hanno il 45 per cento, quindi 290 miliardi. Ne devono dare 400 a Profumo. Non potendo restare senza neppure un euro da dare al lavavetri, prelevano dalle banche 200 miliardi e ne lasciano depositati 90.

Le banche, private di colpo di un quinto dei depositi, rischiano la bancarotta, ma pazienza. Restano da trovare gli altri 200 miliardi. Bisogna vendere qualcosa. La ricchezza degli italiani è fatta per due terzi dagli immobili e per un terzo da titoli finanziari. Il ceto medio spesso ha la casa e basta. Quindi ipotizziamo che i ricchi abbiano per metà case e per metà titoli. Diciamo che devono vendere di corsa 100 miliardi in case e 100 miliardi in titoli. Guardiamo le proporzioni.

Un giorno, su ordine di Profumo, 2 milioni e 400 mila capifamiglia ricchi vanno a vendere titoli per 100 miliardi di euro in una Borsa dove il valore totale di tutte le azioni quotate è oggi di poco superiore ai 300 miliardi. Nel frattempo mettono in vendita case per 100 miliardi. Prevedibile un crollo dei prezzi immediato. Ma, a parte questo, dove sono gli italiani non ricchi pronti con 200 miliardi di euro liquidi da dare ai ricchi in cambio di case e titoli per consentire loro di pagare la patrimoniale risolutiva?

Visto che non esiste abbastanza denaro in giro per pagare i 400 miliardi di Profumo, lo Stato potrebbe accettare in pagamento i suoi stessi Bot, Cct e Btp. Gli italiani, secondo la Banca d’Italia, posseggono titoli di Stato italiani per 190 miliardi. I ricchi, quelli del 45 per cento di cui sopra, ne hanno dunque per 80-90 miliardi. Non bastano, ma sarebbe un’idea anche questa: lo Stato scova i ricchi, di cui Bankitalia non ha gli indirizzi, e requisisce i loro titoli di Stato. Sono 90 miliardi anziché 400, ma sempre meglio delle briciole di cui parlano Pd e Cgil. E poi c’è il vantaggio che se lo propone Profumo non si incazza nessuno.

→  settembre 7, 2011


di Jean-Paul Fitoussi e Gabriele Galateri di Genola

Caro direttore, le difficoltà dell’area euro sono legate alla governance più che ai fondamentali
economici. Negli Usa, al contrario, la sovranità del governo federale e la disponibilità di
strumenti centrali di politica economica adeguati permettono il rifinanziamento a tassi
storicamente bassi sui titoli del Tesoro, e la Fed può acquistare, senza vincoli, buoni del
Tesoro. L’Eurozona è forse persino in migliori condizioni, le finanze pubbliche meno
degradate di quelle americane. Tuttavia, per ora, il suo sistema di governance è tale che
nessuna istituzione ha la sovranità necessaria per finanziare gli Stati membri, che non hanno
sovranità monetaria. La Bce non può intervenire in base ai trattati europei. Nell’Eurozona non
esiste poi una vera solidarietà di bilancio. La sovranità limitata degli Stati membri li colloca
quindi sotto la tutela del mercato e l’impatto delle agenzie di rating.
Il caso Italia è esemplare: fondamentalmente solvibile, dotata di un patrimonio netto privato e
pubblico (pro capite) tra i più alti al mondo, i mercati la trattano come se improvvisamente
fosse divenuta insolvente, nonostante l’alto tasso di risparmio e un deficit contenuto. Il difficile
approvvigionamento sui mercati per l’Italia nei prossimi mesi (circa 150 mld di titoli in
scadenza), conferma questo paradosso. Occorre alleggerire la pressione sui titoli di Stato per
dare sufficiente spazio e tempo al programma di riforme per la crescita. Come fare? Un
elemento di sovranità nazionale che gli Stati possono ancora mobilitare è la tassazione.
Partiamo quindi dal dibattito su una possibile patrimoniale in aggiunta alla manovra corrente,
una misura difficile da introdurre sul piano sia politico che tecnico.
La ricchezza finanziaria delle famiglie italiane è molto concentrata: circa il 50% in mano al 10%
più ricco. Tale potrebbe essere la base imponibile di una patrimoniale. Di recente si è già
parlato della possibilità di un intervento proattivo della parte più facoltosa del Paese, pronta a
contribuire al risanamento economico e finanziario del Paese stesso. Tuttavia sarebbe
rischioso procedere ad una riforma fiscale sotto la pressione del breve termine. Una
patrimoniale sarebbe certo una misura di equità, ma andrebbe strutturata rispettando l’insieme
del sistema fiscale per essere nel contempo giusta ed efficiente. Se tutti i Paesi europei
modificassero la fiscalità sotto la pressione delle circostanze, senza coordinamento, ne
nascerebbe una acerrima concorrenza fiscale.
Come sfruttare questo elemento di sovranità, e ridare forza al Paese sui mercati, evitando però
gli svantaggi di una nuova imposta? Tramite un prestito forzoso. Proponiamo quindi di
introdurre un prestito forzoso decennale, nella forma di una sottoscrizione ad una o più
emissioni dedicate di titoli di Stato. A parità di gettito, tale proposta, implicando la restituzione
del patrimonio a scadenza dei titoli, sarebbe più accettabile per gli interessati e anche più
equa, in quanto i titoli vengono sottoscritti dai contribuenti più abbienti, ad un tasso di interesse
basso, simile a quello pagato sui titoli tedeschi. Già in Francia il prestito forzoso è stato
utilizzato con successo, ad esempio dal governo Mauroy, per facilitare, nei primi anni Ottanta, il
rimborso del debito estero.
Semplificando, il risultato della sottoscrizione forzosa sarebbe l’incremento di gettito derivato
dall’innalzamento dell’attuale aliquota patrimoniale (in realtà sui cespiti patrimoniali, Ici e altro)
sul Pil, dall’attuale 2,1% al livello in vigore nel Regno Unito, del 4%. Ciò genererebbe nuove
risorse per circa 30 miliardi di euro annui. La ricchezza delle famiglie italiane è stimata pari a
circa sei volte il Pil: perciò il flusso aggiuntivo sarebbe pari a poco più dello 0,3% della
ricchezza totale, un ammontare ragguardevole.
Il fabbisogno finanziario dello Stato nei prossimi 12 mesi è di circa 150 miliardi di euro, da
ripartire tra autunno 2011 e primavera 2012. Di questi, i titoli a lungo termine (Btp) superano i
100 miliardi. Un prestito forzoso di circa 30 miliardi a partire dalla prossima primavera potrebbe
certo contribuire ad alleggerire tale pressione in misura non marginale. Tale provvedimento
potrebbe durare, in maniera irrevocabile, alcuni anni (magari la durata di una legislatura)
permettendo un parziale ribilanciamento del possesso del nostro debito pubblico a favore degli
investitori nazionali non istituzionali, contribuendo, anche in base all’esperienza storica bene
illustrata da Reinhart e Rogoff in This time is different, a ridurre significativamente le aspettative
di default sul debito pubblico.
Perché un simile provvedimento sia credibile, sia per i sottoscrittori, che per i mercati
finanziari, le aspettative del mercato devono essere ancorate verso il basso dal religioso
rispetto degli obiettivi di disavanzo e da un piano credibile di riforme strutturali, per avviare la
crescita del Paese. Requisito imprescindibile per il sostegno al nostro Paese, anche da parte
delle autorità europee. Affinché le emissioni collegate al prestito forzoso siano più accettabili, si
può, inoltre, introdurre forme di «collateral», legate ad esempio al patrimonio immobiliare dello
Stato e alle partecipazioni statali nelle aziende private. Tuttavia crediamo che il prestito debba
essere effettivamente forzoso e che non basti ipotizzare sottoscrizioni volontarie. Non si potrà
evitare che l’emissione sia per alcuni aspetti atipica. Molti problemi rimangono aperti, come per
una patrimoniale pura. Riguardano soprattutto la fattibilità e le modalità giuridiche del prestito e
la garanzia dell’equità nella determinazione e nell’identificazione dei soggetti e dei patrimoni
imponibili. Se l’equità è rispettata e le risorse deriveranno principalmente dagli strati più favoriti,
il prestito forzoso non avrà un effetto restrittivo sulla domanda, né diverrà un vincolo alla
crescita.

→  agosto 25, 2011


di Mara Gergolet

dalla rubrica LA LENTE

E alla fine non se ne è rimasto zitto neppure il presidente tedesco, Christian Wulff. Contravvenendo alla (propria) etichetta e alle regole che si era autoimposto («il presidente non parla della Bce né per criticarla, né per congratularsi», giugno 2011), ieri con un discorso davanti a una platea di premi Nobel dell’ Economia a Lindau, è andato all’ attacco della Banca centrale europea.

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→  agosto 18, 2011


di Albert-Lászlo Barabási

“Oggi quasi tutto ciò che facciamo lascia briciole digitali in qualche database. [...] Certo, l’esistenza di queste registrazioni solleva questioni enormi legate alla privacy, un problema di estrema importanza. Ma crea anche un’opportunità storica, offrendo per la prima volta dati oggettivi con un livello di dettagli senza precedenti sul comportamento non di un singolo, ma di milioni di individui. Negli ultimi anni questi database sono finiti in laboratori di ricerca di vario genere, dove informatici, fisici, matematici, sociologi, psicologi ed economisti hanno potuto analizzarli con l’aiuto di potenti computer e di una vasta schiera di nuove tecnologie. Le conclusioni sono mozzafiato: i dati dimostrano in modo convincente che la maggior parte delle nostre azioni è guidata da leggi, schemi e meccanismi che in quanto a riproducibilità e capacità predittiva uguagliano quelli individuati nelle scienze naturali. [...] Seguendo le tracce di queste scoperte arriveremo a considerare i ritmi della vita come segni di un ordine più profondo che caratterizza il comportamento umano, ordine che può essere esplorato, previsto e senza dubbio sfruttato. [...] Più a fondo le esamineremo, più sarà evidente che le azioni umane seguono schemi semplici e riproducibili, governati da leggi di vasta portata. Dimenticate il lancio dei dadi e le scatole di cioccolatini come metafore della vita. Pensatevi come un robot sognante guidato dal pilota automatico e sarete molto più vicini alla verità”.

Lampi
di Albert-Lászlo Barabási
Einaudi, 2011, pp. 324