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→  febbraio 14, 2013


di Paolo Cirino Pomicino

L’appassionato dibattito acceso sul bel libro di Franco Debenedetti (“Il peccato del professor Monti”) e di cui Il Foglio ha dato eco con un confronto a più voci non può che essere musica per le orecchie di un professionista della politica. E tanto per mettere subito i piedi nel piatto, con il termine “professionista della politica” indico una precisa “competenza” che non si esaurisce in una conoscenza tecnica e il cui cuore pulsante è la capacità di mettere in un progetto comune interessi diversi presenti nelle società moderne cogliendone le complementarietà e raccogliendo intorno a esso il più largo consenso popolare.

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→  febbraio 12, 2013


di Marco Valerio Lo Prete

Quello scontro tra “competenza” e “volontà popolare”. Il dibattito del Foglio visto da un fondatore del Pd, Salvati.

“La democrazia è un metodo di selezione delle élite”. Se non si accetta questo assunto, storicamente e scientificamente fondato, non si capisce fino in fondo la rivoluzione del sistema politico di cui Mario Monti è portatore. Non solo: senza riconoscere che quello è l’assunto di partenza, non si spiega la vistosa ritrosia di ampi spezzoni della classe dirigente italiana all’idea di sostenere l’ex presidente della Bocconi che ha fatto arretrare il paese dall’orlo del precipizio finanziario. E’ quanto sostiene Michele Salvati, docente di Economia politica all’Università di Milano, direttore della storica rivista il Mulino ed editorialista del Corriere della Sera.

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→  febbraio 11, 2013

Presentazione del libro di Franco Debenedetti. (Ed. Marsilio)

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Sono intervenuti:
Giuliano Ferrara
Antonio Polito
Eugenio Scalfari

Ha moderato:
Monica Maggioni

→  febbraio 6, 2013


di Marco Valerio Lo Prete

Accusa Debenedetti: Monti vuole cambiare la politica a colpi di tecnocrazia, oltre destra e sinistra. Lo difende l’americano Gardels: la democrazia è tante cose, non è solo la conta delle teste, in America gli apparati tecnici integrano il consenso. Il “modello cinese”

“Il peccato del professor Monti”, pamphlet di Franco Debenedetti in uscita oggi per Marsilio, “nasce dalla preoccupazione”. Il timore è che in Italia sia “in atto un tentativo di cambiare radicalmente il discorso politico”. Sul banco degli imputati, intellettualmente parlando, c’è il presidente del Consiglio uscente (e di fatto ricandidato), Mario Monti.

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→  dicembre 5, 2012


di Simon Nixon

La grande storia del 2012 è stato il rifiuto dell’Eurozona di collassare, con annessa frustrazione di quanti avevano scommesso molto o comunque legato la loro credibilità professionale al crollo della moneta unica. E’ impressionante, se uno pensa a soltanto un anno fa, quanto fosse diffusa la convinzione di un imminente “eurogeddon”. Numerosi ed esperti banchieri, soprattutto a Londra e a Francoforte, ritenevano in cuor loro che la Grecia sarebbe finita fuori dall’euro nel corso del 2012; il presidente della Royal Bank of Scotland addirittura lo disse in pubblico.

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→  ottobre 31, 2012


di Oscar Giannino
Più sarà deciso sulla strada non compromissoria con i vecchi partiti, più potrà aggregare pezzi di società lombarda esasperata per la situazione che si è venuta a creare a livello centrale e locale

Il mio augurio è che quando leggerete questo articolo Gabriele Albertini abbia sciolto ogni esitazione. Mi auguro cioè che sia divenuto pubblico l’appello che conosco e che è in evoluzione da settimane, di un centinaio di rappresentanti della società civile fuori dai partiti, del mondo delle professioni, della cultura, dell’accademia, dell’impresa e del terzo settore, in cui si motiva la richiesta che Albertini possa essere il candidato alla presidenza della Lombardia. E che, accogliendo l’appello, scenda in campo senza alcuna attesa di segnali, decisioni od opposizioni da parte di questa o quella formazione politica.
La mia opinione, l’ho detto dieci giorni fa a Milano parlando in un’affollata piazza San Fedele, è che più tempo passava senza che Albertini raccogliesse l’appello della società civile, più era probabile che la sua ipotesi di candidatura si trovasse esposta a pagar pegno alla confusa e tumultuosa incertezza di linea del Pdl nazionale e locale. Al contrario, il senso della candidatura Albertini doveva essere proprio quello di azzerare di colpo ogni possibile ricaduta in Lombardia degli immensi guai con cui è alle prese il Pdl, che non riesce, non vuole e non sa come uscire dalla presa ricorrente di Silvio Berlusconi, dei suoi processi e dei suoi umori mercuriali. La Lombardia è cosa troppo seria e importante per farne una Sicilia bis. E lo dico con grande rincrescimento verso i siciliani, perché il suicidio del Pdl privo di uomini all’altezza ha fatto vincere l’alleanza Pd-Udc che in Sicilia rappresenta la continuità più diretta del sistema Lombardo. In Sicilia, capisco solo chi è rimasto a casa e chi ha votato Grillo.

Più Albertini sarà deciso su questa strada non compromissoria con i vecchi partiti, più potrà aggregare pezzi aggiuntivi di società lombarda esasperata per la situazione che si è venuta a creare, per le tante indagini che hanno travolto nel discredito l’istituzione Regione e la sua credibilità, e per il riverbero che la crisi politica nazionale di un anno fa ha avuto nell’accelerazione della crisi lombarda stessa. Mi auguro inoltre che il suo programma sia il più possibile chiaro e netto, a cominciare dal rafforzamento della sussidiarietà, dalla cessione di società partecipate, dal passaggio anche degli ospedali pubblici alla forma di Spa, in modo che abbiano bilanci più trasparenti. Dipendesse da me, sarei per il passaggio dai criteri di nomina attuale dei direttori generali delle aziende ospedaliere e sanitarie, scelti dalla politica, a una modalità per la quale si seguono procedure di mercato con tanto di bandi pubblicati sui giornali e commissioni terze che assegnano dei punteggi, con la politica che si limita a validare la scelta con un decreto di nomina. Ma, si sa, io sono considerato un filino troppo estremista…
Non c’è da illudersi. Non credo che la politica comprenda immediatamente la carica di rottura che potenzialmente una candidatura Albertini, se si mantiene fedele a questi presupposti, rappresenta rispetto al consueto schema bipolare destra-sinistra che abbiamo visto per 18 anni. Se questa consapevolezza fosse davvero diffusa, pare a me che il Pd per primo non avrebbe dovuto sbattere la porta in faccia a Umberto Ambrosoli, che da quanto ho capito ha chiesto alla sinistra che lo aveva interpellato quanto Albertini non deve chiedere ai partiti di centrodestra, ma direttamente alla società civile. Non mi meraviglierei invece se l’esito siciliano rafforzasse nel Pd e in parte del mondo cattolico l’impressione che anche a Roma alle prossime politiche si debba replicare uno “schema Crocetta”. Già non mi pare che l’ex sindaco cossuttiano di Gela possa davvero governare la Sicilia, e a maggior ragione non mi pare che un accordo di bassissimo profilo infarcito di candidati assai discutibili possa essere lo schema di governo nazionale. Piuttosto, se Grillo ha preso il 18 per cento in Sicilia in soli dieci giorni di campagna, vuol dire che in Italia se la società civile non si organizza e non crede alla necessità di scendere risolutamente in campo, fuori dai partiti, Grillo può prendere nell’intero paese il 25 per cento, se non più ancora.
Certo, lanciare il cuore oltre l’ostacolo significa esporsi. Di Berlusconi, il minimo che si possa dire è che non ha le idee chiare. Del suo ex stato maggiore, la stessa cosa. È da mettere in conto che il vecchio Pdl tenti di cambiare il più possibile il colore dell’acqua limpida da cui germoglia la candidatura di Albertini, dal basso della società lombarda. E al momento in cui scrivo non so come reagirebbe la nuova Lega di Bobo Maroni, che personalmente incoraggio ad adottare a sua volta logiche nuove che antepongano Nord, e macroregioni del Nord come del Sud, a vecchi slogan che non hanno funzionato. Quanto e come può reggere, per Maroni e Tosi pensando al futuro, un eventuale patto con il fondatore del Pdl ormai polvere rispetto a quel che era? Vedremo.

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Tempi, 30 ottobre 2012