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→  settembre 23, 2013


From Prof Emiliano Brancaccio, Prof Riccardo Realfonzo and others.
Sir, The European crisis continues to destroy jobs. The employment crisis strikes, above all, the peripheral member countries of the European monetary union, where an exceptional rise in bankruptcy is also under way, whereas Germany and the other central countries of the eurozone have instead witnessed growth on the job front. The European authorities have taken a series of decisions that have in actual fact, contrary to announcements, helped to worsen the recession and widen the gaps between the member countries. In June 2010, when the first signs of the eurozone crisis became apparent, a letter signed by 300 economists pointed out the inherent dangers of austerity policies, which would further depress the demand for goods and services as well as employment and incomes, thus making the payment of debts, both public and private, still more difficult. This alarm was, however, unheeded. The European authorities preferred to adopt the fanciful doctrine of “expansive austerity”.

The correction of the imbalances within the eurozone would require concerted action on the part of all the member countries. Expecting the peripheral countries of the union to solve the problem unaided means requiring them to undergo a drop in wages and prices on such a scale as to cause a still more accentuated collapse of incomes and violent debt deflation with the concrete risk of causing new banking crises and crippling production in entire regions of Europe.
John Maynard Keynes opposed the Treaty of Versailles in 1919 with these far-sighted words: “If we take the view that Germany must be kept impoverished and her children starved and crippled . . . If we aim deliberately at the impoverishment of Central Europe, vengeance, I dare predict, will not limp.” Even though the positions are now reversed, with the peripheral countries in dire straits and Germany in a comparatively advantageous position, the current crisis presents more than one similarity with that terrible historical phase, which created the conditions for the rise of Nazism and the second world war. All memory of those dreadful years appears to have been lost, however, as the German authorities and the other European governments are repeating the same mistakes as were made then. This short-sightedness is ultimately the primary reason for the waves of irrationalism sweeping over Europe, from the naive championing of flexible exchange rates as a cure for all ills to the more disturbing instances of ultra-nationalistic and xenophobic propaganda.
In the absence of conditions for a reform of the financial system and a monetary and fiscal policy making it possible to develop a plan to revitalise public and private investment, counter the inequalities of income and increase employment in the peripheral countries of the union, the political decision makers will be left with nothing other than a crucial choice of alternative ways out of the euro.

→  agosto 8, 2013


di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi

L’Italia è ferma da due decenni. In questo periodo il reddito medio degli italiani (dati Eurostat) si è ridotto del 14 per cento, mentre rimaneva sostanzialmente invariato nel resto dell’area euro e cresceva del 12 per cento negli Stati Uniti. Da che cosa dipende questo risultato drammatico? Il Fondo monetario internazionale ha confrontato i progressi compiuti da alcuni Paesi nel riformare le proprie economie ( Fostering Growth in Europe , aprile 2012). Ha suddiviso le riforme in due gruppi: quelle che possono tradursi più rapidamente in maggior crescita (riforme del mercato del lavoro; privatizzazioni; liberalizzazioni nel campo dei trasporti, della distribuzione dell’energia, delle professioni, della distribuzione commerciale) e quelle che invece richiedono tempi più lunghi per produrre effetti positivi (formazione del capitale umano, cioè scuola e università; pubblica amministrazione; giustizia civile).

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→  giugno 12, 2013


di Francesco Giavazzi, Richard Portes, Beatrice Weder Di Mauro, Charles Wyplosz
Questa settimana a Karlsruhe la Corte costituzionale tedesca inizia a prendere in considerazione il caso sottopostole da un cittadino tedesco il quale chiede se il programma Omt (sostanzialmente lo scudo anti-spread) annunciato lo scorso settembre dalla Banca centrale europea sia compatibile con i trattati europei. La Corte dovrà decidere se la Bce abbia oltrepassato i limiti del suo mandato e imponga rischi eccessivi ai contribuenti tedeschi. La Corte farebbe bene ad accantonare il caso, se non vuole mettere a repentaglio la sopravvivenza dell’Eurozona e divenire essa, non la Bce, una minaccia per i contribuenti tedeschi e non solo. Ci limitiamo qui a considerazioni economiche, in quanto la Corte stessa ha invitato alcuni economisti a esporre il loro punto di vista nel dibattimento.

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→  giugno 11, 2013


Von LISA NIENHAUS und CHRISTIAN SIEDENBIEDEL

Die Europäische Zentralbank muss sich in Karlsruhe rechtfertigen. Denn ihre getätigten und angekündigten Anleihkäufe sind umstritten. Am Ende geht es aber schlicht um die Frage, welche Solidarität die Europäer sich leisten wollen. Und können.

Das Wort hat der Angeklagte Asmussen. Nein, Angeklagter ist Jörg Asmussen heute vor dem Bundesverfassungsgericht nicht, er ist als Sachverständiger geladen. Und doch ist es sein Haus, das hier vor Gericht steht: die Europäische Zentralbank, eine europäische Institution, in deren Direktorium Asmussen sitzt, muss vor einem deutschen Gericht Rede und Antwort stehen.

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→  giugno 7, 2013


Intervista di Federica Meta a Tommaso Valletti

L’economista: “La Cassa non è in grado di gestire lo spin off, soddisfa solo gli appetiti della politica”. E sull’operazione: “Se mal fatta può avere effetti disastrosi”

La separazione della rete Telecom, in teoria, può avere effetti benefici sull’azienda e sul comparto Tlc. Ma se “mal fatta” ne può avere altrettanto di disastrosi. Tommaso Valletti, ordinario di Economia all’Imperial College London e all’università Tor Vergata di Roma, membro della Competition Commission britannica, evidenzia luci e ombre dell’operazione di spin off.

Entriamo nel dettaglio degli effetti su Telecom Italia e sul mercato.
In via di principio lo scorporo potrebbe avere un buon effetto. Una rete totalmente separata dai servizi garantisce più equità e annulla le asimmetrie tra i concorrenti. Il settore delle Tlc – i consumatori in particolare – potrebbero beneficiarne e gli investimenti potrebbero finalmente ripartire. A livello industriale, però, Telecom perderebbe un asset strategico a causa di motivi finanziari – l’eccessivo debito – e politici – il possibile “appetito” della politica di tornare in pista, nelle utilities ad esempio. In questo contesto tutto dipenderà da come si farà la separazione: se mal fatta può essere disastrosa per tutti. E comunque – questo va ricordato – non ci sono purtroppo evidenze empiriche rilevanti a livello internazionale per giudicare gli effetti dello spin off sulla base di esperienze altrui.

Lei dice che dipende molto da come si fa l’operazione, quindi dalle regole. A suo avviso quale sarebbe il quadro regolatorio più propizio?
Facciamo un passo indietro. Se la regolamentazione di open access fosse efficace, che bisogno ci sarebbe di dover separare la rete se non per i motivi politico-finanziari detti sopra? Di fatto open access ha funzionato solo parzialmente. Di recente Telecom Italia è stata multata dall’Antitrust per abuso di posizione dominante nelle forniture dei servizi all’ingrosso agli operatori alternativi. I dettagli della regolazione non sono ancora noti e non posso pronunciarmi senza conoscerli. Sento dire, però, che Telecom voglia tenersi le componenti attive della rete, per cui continuerebbe a gestire i servizi all’ingrosso e gli abusi potrebbero continuare. Vedremo quello che succederà, ma oggi affermare di essere favorevoli o contrari all’operazione è decisamente prematuro così come trovo sterile il dibattito su cosa sia meglio – stato o privato.

Quale ruolo può giocare la Cassa Depositi e Prestiti?
La Cdp sembra essere uno dei pilastri di questa operazione. Ma, personalmente, non vedo in essa le competenze tecniche per gestire e comprendere un’operazione di tale portata. La Cassa Depositi e Prestiti appaga, invece, pienamente la ricerca di posizioni di potere della nostra classe politica. Il mio è un giudizio negativo, ma spero di sbagliarmi.

→  giugno 6, 2013


di Salvatore Bragantini

«Il capitalismo ha i secoli contati», s’intitola un libro di Giorgio Ruffolo, ma se esso non smette certi tratti inaccettabili la profezia si avvererà più in fretta. Le cause reali della crisi che viviamo dall’agosto ’07 sono gli sbilanci commerciali (per l’ingresso di grandi Paesi prima inesistenti per i commerci) e l’eccesso del risparmio sugli investimenti reali. Grandi fette di valore aggiunto si sono infatti spostate dal lavoro (che consuma e sostiene la domanda) al capitale (che risparmia ma non trovando investimenti produttivi crea bolle). Negli Usa il reddito reale dei dipendenti calava ma essi rimediavano indebitandosi con le banche. Queste li finanziavano grazie ai denari di chi si stava appropriando dei guadagni di produttività, fin lì divisi con il lavoro.

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