di Franco Debenedetti e Nicola Rossi
Un sentiero stretto ma molto, molto virtuoso”: si parla di finanza pubblica, e a leggerlo sul Foglio del 30 maggio c’è da trasecolare. E invece è quello che “dimostra” il professor Marco Fortis: basta sommare crescita e avanzo primario, e noi tra le grandi economie siamo secondi solo alla Germania. Se cresciamo meno è solo perché facciamo meno spesa pubblica, non avessimo quel debito potremmo spendere quanto spende la Germania e cresceremmo come lei. Miracoli della germanofobia!
Qui il “trucco” sta nel confondere l’utilizzo delle risorse con la produzione delle stesse. Invece quello che Fortis chiama l’indice di “crescita virtuosa”, è un numero che non distingue e non spiega: non distingue tra un paese con una crescita elevata ed un bilancio pubblico in ordine e uno fermo e obbligato a dissanguarsi per trovare qualcuno che gli comperi il suo debito. E non spiega, perché nulla ci dice sul fatto che da oltre 20 anni la nostra crescita è, sistematicamente, inferiore agli altri paesi d’Europa.
Guardiamo gli ultimi tre anni, dal 2014 al 2017 (prendendo per buone le previsioni più recenti), e confrontiamo i nostri risultati con la media dell’Eurozona. Crescita: inferiore dell’1,0 per cento. (era lo 0,9 per cento come fra il 2000 ed il 2013). Disoccupazione: più 1,5 per cento (era meno 0,8 per cento fra il 2000 ed il 2013). Disavanzo pubblico in rapporto al pil: 0,7 per cento in più (era lo 0,3 in più fra il 2000 e il 2013). Spesa pubblica corrente al netto degli interessi in rapporto al pil: diminuita nel triennio da noi dello 0,5 per cento, nell’Eurozona dello 0,7. Rapporto debito pubblico/pil superiore di 40 punti percentuali (erano 34 fra il 2000 ed il 2013).
Per comparare sinteticamente la performance macroeconomica italiana con quella della media dell’Eurozona, invece di indici costruiti ad hoc a supporto di analisi anestetizzanti, si veda quello della distanza macroeconomica Italia-Eurozona che l’Istituto Bruno Leoni segue da qualche anno (e che quindi è pari a zero quando la configurazione macroeconomica è pari a quella media dell’Eurozona). Fonte online: http://www.brunoleoni.it/osservatorio-minghetti.
L’indice mostra chiaramente come l’Italia abbia registrato nell’ultimo ventennio periodi di aggiustamento macroeconomico anche significativo seguito poi invariabilmente da anni in cui i frutti di quegli sforzi sono stati colpevolmente dissipati. In particolare segnala in maniera inequivocabile come, negli ultimi tre anni, il paese abbia imboccato un sentiero che ci allontana sempre più dalla media dei paesi che con noi condividono la moneta unica. Questo è il “sentiero stretto”: e manca poco che ci porti a vanificare del tutto l’aggiustamento registrato dopo la crisi dei debiti sovrani.
Il compito di Padoan
“Il mio compito in questa condizione politica è di lasciare il paese con i conti pubblici in sicurezza”, ha detto il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. Parole benvenute, anche francamente tardive. Quello che abbiamo alle spalle, come si è visto, è infatti un triennio perduto: lo spread Btp-Bund veleggia in prossimità dei 190 punti base (erano 150 tre anni fa), i credit default swap sul debito sovrano italiano implicano una probabilità di default più o meno del 3 per cento contro lo 0,4 della Germania e lo 0,9 della Francia; il rating del nostro debito rivisto al ribasso in almeno tre occasioni non è poi così lontano dal non investment Brade; lo spettro della procedura di infrazione rimosso nel 2013 ci accompagnerà, con ogni probabilità, nei prossimi mesi. Che il ministero dell’Economia dopo tre anni di vacanza sia tornato ad avere un inquilino è un pensiero rassicurante. Perché, il sentiero che l’Italia ha davanti a sé è davvero molto stretto.
Il finale di legislatura sta per consegnarci un’eredità di finanza pubblica difficile, che la classe politica (a partire dal partito di maggioranza relativa) visibilmente vorrebbe poter accettare con il beneficio di inventario. Tassi accettabili di crescita della produttività sono un miraggio da più di un ventennio. In lontananza già si intravede la fine di una stagione di politica monetaria senza la quale gli spazi di mercato si sarebbero, per il debito pubblico italiano, esauriti già da tempo. Il sistema bancario è ancora lontano dall’essere stabilizzato.
Ora che la prospettiva di andare a votare nel 2018 sembra la più verosimile, e che lo stesso segretario del Pd, Matteo Renzi, invita a lavorare sapendo di avere quasi un anno davanti, al ministro Padoan si offre l’opportunità di mettere in pratica le sue parole: per mettere ordine nei conti pubblici lo strumento naturale è la Legge di bilancio.
Davanti al ministro dell’Economia si presentano dunque diverse opzioni, i “Quattro cantoni” di cui parla Stefano Cingolani (il Foglio, 10 giugno). Ma una cosa è chiara: chiedere nuovi spazi di flessibilità (a debito) non è tra queste. Almeno se, come dice, vuole mettere in sicurezza i conti pubblici.
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