Bassa crescita.
Nelle competizioni elettorali, l’importante è dettare l’agenda. È riuscito a Veltroni con la scelta di andare da solo: ha modificato la geografia politica italiana. Ad un livello diverso, é quello che sta riuscendo a Giulio Tremonti: con il suo “La paura e la speranza” ha buttato sul tavolo una carta e su quella fa “ballare” l’avversario.
La sinistra non può cavarsela dicendo, come Enrico Morando sul Riformista di giovedì, che nel programma del PD le tesi di Tremonti ci sono già, anzi un po’ meglio. Se prova a passare la mano solo con un “più uno”, rischia di dover rispondere a Dario Di Vico che, sul Corriere, gli chiede di “raddoppiare” indicando il nome di chi metterebbe dietro al tavolo di Quintino Sella. Il PD deve almeno “vedere”: e cioè, fuor di metafora, deve contrapporre un “proprio” libro al libro di Tremonti.
La destra si può permetterselo un libro ideologico (tipo sostenere che il liberismo ha vinto: e quando mai? forse me lo son perso?), che fonda la sua visione sulla “natura” dell’uomo, a cui offrire comprensione alle paure e alimento alle speranze: le basta azzeccare un altro palco di Vicenza – sempre che abbia ancora il gout de vivre per farlo – e l’equilibrio è ristabilito. Ma la sinistra italiana delle sue ideologie ha già riempito scaffali, l’ultima volta che ci ha provato erano girotondi e no global. Alla sinistra non si consente di essere romantica, ma neppure si perdona di essere illuminista: quindi non può neppure nascondersi dietro l’oggettività delle regressioni matematiche. Non le resta, oggi, che stare stretta ai fatti, quelli che tutti sentono veri, e da quelli dedurre, quasi di necessità, la sua proposta. È quello che fa Luca Ricolfi con il suo nuovo libro.“Ostaggi dello Stato” (Guerini & Associati, Milano): quindi lo propongo al PD come anti-Tremonti.
Ricolfi parte da una constatazione non nuova: é da dieci anni che l’Italia cresce in media di 8 decimi di punto meno degli altri Paesi dell’Europa. (E ce n’è già per Tremonti: 10 anni fa non poteva essere colpa di una globalizzazione incipiente). Lo 0,8% per dieci anni filati fa un’enormità, si dovrebbe crescere per 20 anni dello 0,5% all’anno più della media europea per recuperare le posizioni perdute. Nuova è la decostruzione che Ricolfi fa del mito del rigore, su cui la sinistra ha campato per anni: se siamo cresciuti poco è anche perché negli ultimi 15 anni il rigore macroeconomico ha dominato la politica economica del Paese. Anche Prodi dice sviluppo: ma nella sua triade, risanamento, sviluppo, equità, il risanamento era la stella polare, l’equità (nominalistica) serviva a pagare l’obbligo di coalizione, allo sviluppo restava quod superest. Per creare l’immagine di un Governo risanatore è stata costruita la maxi- finanziaria 2007, più severa del necessario; per soddisfare le richieste di equità quella del 2008, che addirittura peggiora il deficit. Da questo “teorema” si ricavano , a mo’ di corollari, due dimostrazioni di inesistenza, quella del “buco” lasciato da Tremonti nel 2006 e quella del recupero di evasione vantato da Visco.
C’è la montagna del debito: ma se ci si preoccupa dell’avanzo primario in quanto tale, per quanti anni dovremo restare in apnea? Il Belgio aveva un debito in proporzione peggiore del nostro: è crescendo che è riuscito a ripagarlo. Noi abbiamo anche perso l’occasione di vendere i beni dello Stato per pagare il debito: con la deflazione del credito, la parola cartolarizzazione, tanto più di beni immobiliari, per un po’ di tempo resterà bandita dal vocabolario finanziario. Il rischio è quello di continuare come in questi 10 anni, abituandoci a sfilare verso la coda: e intanto si logora quello che ancora abbiamo di buono, si lacera il tessuto sociale: già oggi “ le organizzazioni della vita sociale hanno scelto di rappresentare la parte più impaurita e miope degli italiani, quella più ripiegata in se stessa” ( Gianni Toniolo in Governare il mercato, Donzelli). Riprendere a crescere é l’obbiettivo a cui va finalizzato l’azione politica: con maniacale determinazione. Di nuovo, nel testo di Ricolfi, c’è il senso di urgenza, e quindi la scelta degli strumenti per promuoverlo. Dopo anni che cerchiamo di riparare la macchina senza riuscirci, ora ci accorgiamo che bisognerebbe formare i meccanici: ma non possiamo aspettare che finiscano la scuola. La macchina, magari perdendo colpi, sbandando in curva e frenando male, si riparerà andando. Abbiamo bisogno di meccanismi automatici. Così, alla fine la proposta di Ricolfi arriva quasi naturalmente, e ce la consegna in poche righe: un taglio, generalizzato, non graduale e non temporaneo, delle tasse sugli utili di impresa. Tagliare 10 punti di IRES.
A mio avviso abbassare le tasse é di per sé il ritorno a normali rapporti tra società e stato, e non deve giustificarsi come strumento per riavviare la dinamica economica. Ma immagino che non tutti saranno d’accordo. A costoro, cito ancora Toniolo: “Basta, per favore, con i sottili distinguo, con i freni a mano sempre tirati: se non ci piacciono i mercati mondiali quali esistono oggi – e ci sono aspetti che devono non piacere – resta il vecchio pragmatismo: se non puoi battere l’avversario, unisciti a lui.
In un mondo in cui entrano per la prima volta miliardi di persone, e in cui la stessa parola crescita assume significati enormemente più ricchi, in cui non mancano i pericoli, si offrono però enormi possibilità di crescita individuale, di costruzione del proprio futuro a giovani adeguatamente colti. Dobbiamo dimostrarglielo nei fatti qui e subito: é nella crescita che la luce appare in mezzo alle ombre. La nostra pubblica amministrazione, con costi, inefficienze, invasività intollerabili, irriformabile dal proprio interno, sfida le capacità politiche: solo dal contrasto con un paese che cresce può venire la reazione che valga a modificarla. Anche il declino della politica non si arresta, la fiducia consunta non si ricostituiscono nelle angustie del declino, hanno bisogno della crescita: magari disordinata, ma robusta.
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marzo 15, 2008