Le idee e il dibattito
Enel vorrebbe acquisire la francese Suez: per bloccarla si muovono Jaques Chirac e Dominique de Villepin. Enel allora ci riprova con la spagnola Endesa: e Zapatero mette il veto. Dopo l’OPA lanciata dalla tedesca E.On su Endesa, si è aperta una nuova ondata di maxiconsolidamenti nel settore energetico: ma a Madrid e Parigi si studiano soluzioni di giganti nazionali ancora maggiori, e per l’Enel restare fuori significa restare solo a casa nostra.
Nel settore bancario, dopo che due nostri istituti, medi quanto a dimensione, ma rilevanti quanto a importanza strategica, Antonveneta e BNL sono passate in mano francese (tra gli “evviva” degli esterofili e i “ben-ti-sta” dei giustizialisti) anche le nostre maggiori banche si sentono sotto tiro e temono gli possa toccare la stessa sorte.
Che fare? Se il mercato europeo fosse veramente unico, se fosse veramente aperto alle sole forze del mercato, si potrebbe assumere l’atteggiamento rigorosamente liberista e panglossianamente attendere che vinca il migliore, cioè chi mette più euro sul tavolo. Ma così non è: in questi settori definiti strategici – o per legge, come in Francia, o di fatto, tramite golden share pubbliche come in Spagna – il mercato europeo appare attraversato da barriere politiche (e magari ipotecato da iniziative giudiziarie). Il nostro mondo politico, anche a sinistra, di fronte alla scoperta che l’apertura italiana all’Europa non è ricambiata reagisce con qualche sorpresa. Si divide tra chi esige la reciprocità dagli altri, e chi vuole predisporre le difese in casa nostra; chi chiede ai partner europei di non frapporre ostacoli alle nostre eventuali OPA ostili; e chi chiede di irrigidire la nostra legge sulle OPA, una bella legge liberista ricalcata sul modello inglese. La cosa sicuramente da notare è che, a notare il contrasto tra la nostra legge sull’Opa e il recepimento restrittivo che altri grandi Paesi europei hanno fatto della direttiva europea sullo stesso tema, vi sia proprio il neogovernatore Mario Draghi, che della legge italiana fu il padre quando era direttore generale del Tesoro.
Come si compone il dissidio? Chi chiede la reciprocità è nel giusto, ma corre anche lui il rischio di fare la figura di Candide. E’ un fatto che Francia e Spagna la reciprocità ce la negano, mentre noi abbiamo aperto a imprese energetiche e creditizie francesi e spagnole il nostro mercato. E chi vuole rendere più difficili le scalate ostili anche da noi, sposta in là il problema e non risolve oggi le debolezze strutturali di queste nostre imprese, debolezze che anzi sarà tanto più difficile sanare quanto più il sistema è stato irrigidito.
Io credo che la soluzione stia intanto nel far leva sulla nostra attuale legge liberista sull’OPA. La sfida che l’Enel è intenzionata a lanciare è adesso, non può aspettare tempi lunghi. Di conseguenza, tanto vale utilizzare la legge italiana attuale per sfidare apertamente in Europa chi vi si oppone. Le banche italiane e la politica italiana, ciascuno per la propria parte che è assai diversa, si mobilitino a sostegno dell’Enel, e questa lanci un’OPA sonante e con un piano industriale credibile sul soggetto straniero che meglio rientra nelle sue strategie di sviluppo. Una volta che l’operazione sia robustamente munita sul piano finanziario, e solidamente studiata sul piano industriale, bisogna che la politica italiana sia preparata e decisa a sollevare il problema se necessario fino alla Corte di Giustizia del Lussemburgo, in caso di prevedibile ostacolo politico o legislativo da parte delle controparti francesi o spagnole. La strategia giusta è sì dunque quella di puntare alla reciprocità, ma non più alla reciprocità graziosamente concessa che finora ci è stata negata, bensì a una reciprocità vigorosamente conquistata sul campo. E perché la strategia sia credibile, la politica deve essere in grado anche di minacciare il ricorso alle stesse armi: se la porta francese si chiude in faccia all’Enel, si torni a congelare la francese Edf in Edison. E quando l’Europa desse ragione alla reciprocità per tutti, solo allora il congelamento cadrebbe. Ma non più solo in Italia.
Che significato avrebbe, la medesima strategia applicata, anche nel mercato interno, per il consolidamento del settore bancario? Tutte le possibili combinazioni tra i nostri maggiori istituti sono state sviscerate dagli analisti: ma gli attori sono in surplace, un po’ per tattica, assai più perché bloccati da patti di sindacato, intrecci di partecipazioni delicate banco-industriali, gelosie di management e addirittura municipali. Non si può continuare a contemplare questi ostacoli. L’obbiettivo deve essere una maggiore efficienza post-fusione, e se questa è ragionevolmente assicurata, i patti di sindacati si ridiscutono, le partecipazioni si vendono, le mura merlate o cedono o vengono lasciate indietro. O i banchieri italiani e i loro azionisti lo capiscono e si muovono di conseguenza, oppure questa volta non ci sarà più freno di Bankitalia a scusarli.
La congiuntura è favorevole. In Europa, si sente acuta la necessità di riprendere slancio dopo il faticoso compromesso sul bilancio e il mezzo fallimento della Bolkestein. Abbiamo un nuovo governatore di Banca d’Italia, avremo un nuovo governo, penso anche una nuova maggioranza. Ma tutto questo non basta, se non si hanno le idee chiare. Ci sono tutte le condizioni per muoversi con credibilità nel mercato europeo, e per dare una scossa al mercato italiano. Manca poco più di un mese, alle elezioni: giusto il tempo per preparare le carte.
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febbraio 25, 2006