Buone intenzioni e acqua fresca

maggio 3, 2012


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di Francesco Giavazzi e Alberto Alesina

La difficile riduzione delle spese

La spending review , e cioè l’analisi e revisione della spesa pubblica, ha partorito un timido topolino, un risultato quasi imbarazzante per il governo.

La spesa (escludendo interessi sul debito, pensioni e sussidi ai meno abbienti) ammontava lo scorso anno al 23,5 per cento del reddito nazionale (Pil). Con sussidi e pensioni la spesa sale al 45,6 per cento; con gli interessi raggiunge la metà dell’intero reddito nazionale. Meno che in Francia e Danimarca, ma solo un punto e mezzo meno che in Svezia, dove i servizi offerti dallo Stato alle famiglie sono di qualità un po’ diversa dalla nostra.

In poche settimane dopo il suo insediamento, il governo Monti ha alzato la pressione fiscale di tre punti, dal 42,5 al 45,4% del Pil (era il 40% sette anni fa). Sulla spesa invece non ha fatto quasi nulla, tranne gli interventi sulle pensioni, certo importanti, ma i cui effetti si verificheranno in modo graduale nei prossimi anni. I tetti agli stipendi più elevati dei dirigenti pubblici, la cancellazione della maggior parte dei voli di Stato, i limiti all’uso delle auto di servizio, la rinuncia al compenso per alcuni membri del governo, hanno un significato etico assai importante, ma nessun effetto macroeconomico.

La spending review parte dall’ipotesi che sia «rivedibile» solo la spesa che non riguarda i trasferimenti sociali: ma se non si rimette mano in qualche modo anche al nostro stato sociale, rendendolo più efficace nel contrastare la povertà, anziché disperdersi in sussidi alle classi medie (si pensi all’università) non si fanno passi avanti. Su questa materia sarebbe utile rileggere il rapporto della Commissione Onofri scritto oltre un decennio fa.

In realtà è ancor peggio. Secondo la spending review annunciata lunedì dal governo, non solo la spesa previdenziale non è rivedibile, ma in tempi ravvicinati non lo sono neppure i tre quarti di quella non previdenziale: e all’interno di questa non più di 80 miliardi, ossia il 5% del Pil. A fronte di una spesa che raggiunge il 50% del Pil ed è in gran parte evidentemente inefficiente, l’obiettivo è di «rivederne» (si evita accuratamente di usare il verbo «ridurre») non più di un decimo, e questo in un Paese in cui i contribuenti onesti sono soffocati dalla pressione fiscale. E ciò senza indicare nulla di concreto. In quel 5% ad esempio non pare rientri l’abolizione delle Province: si pensa di «concentrare in alcune Province poche funzioni operative di larga scala»: un modo sicuro per finire con non abolirne nessuna. Nemmeno la loro eliminazione produrrebbe effetti macroeconomici forti, ma è deludente che perfino su questa decisione il governo sembri aver fatto un passo indietro («Il riordino delle competenze delle Province può essere disposto con legge ordinaria…, consentendone la completa eliminazione, così come prevedono gli impegni presi con l’Europa», aveva detto il presidente del Consiglio presentando il suo programma in Parlamento).

Il governo sembra non rendersi conto che l’Italia rischia di avvitarsi in una spirale di tasse, recessione, deficit e ancor più tasse. Purtroppo i dati sulla crescita del primo trimestre potrebbero essere una brutta sorpresa per i mercati.

Ma soprattutto il governo non sembra aver riflettuto con sufficiente attenzione all’evidenza storica, dalla quale si possono trarre due lezioni: 1) le correzioni dei conti pubblici che funzionano sono quelle che riducono le spese, aprendo così la strada a riduzioni del carico fiscale; 2) tanto meglio funzionano quanto più sono accompagnate da riforme che stimolino la crescita. Invece il presidente del Consiglio ripete che non può escludere un aumento dell’Iva. Non ci siamo proprio.

Ps: ad uno di noi (Giavazzi) il presidente del Consiglio ha chiesto di scrivere un rapporto su un aspetto emblematico della spesa: i trasferimenti dello Stato alle imprese. Poiché non abbiamo risparmiato critiche al suo governo, questo dimostra che Mario Monti è una persona pronta ad ascoltare anche chi lo critica, tratto non comune in Italia.

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