articolo collegato del Direttore del Foglio
Il piano ormai è chiaro e Urbano Cairo, fresco azionista di maggioranza di Rcs, editore de La7, proprietario del Torino e della Cairo Communication, lo ripete a memoria come se fosse la sua poesia. Un robusto taglio di costi da realizzare entro il 2018. Un margine operativo lordo, tra Rcs e Cairo Communication, da 172 milioni nel 2017 e 215 nel 2018. Un’integrazione tra Rcs e Cairo Communication da realizzare non oltre i prossimi 24 mesi. Lo studio di nuove iniziative editoriali sia in Italia sia in Spagna. E un tentativo di mettere un piede nel cda di Rcs entro la fine di luglio con un percorso preciso: agevolando l’uscita di almeno quattro consiglieri sui nove totali dal consiglio d’amministrazione di Rcs, sostituendo i quattro consiglieri con persone scelte da Cairo (uno dei consiglieri sarà lo stesso editore), iniziando a operare subito sul paziente Rcs (1,3 miliardi di perdite accumulate negli ultimi cinque anni) evitando il decadimento del cda e convocando al più presto un’assemblea che nomini il nuovo consiglio. Il piano industriale è chiaro ed è quello che ha permesso a Cairo (in coppia con Intesa Sanpaolo) di sconfiggere la cordata guidata da Andrea Bonomi (in coppia con Mediobanca). Ma sul resto, sugli altri temi, su tutte le questioni che vengono illuminate quando si schiaccia l’interruttore del Corriere, l’establishment, la borghesia, il terzismo, il governo, le opposizioni, Grillo, il pensiero del nuovo azionista di maggioranza di Rcs è meno chiaro e meno noto e il Foglio ha chiesto a Cairo di rispondere a qualche domanda. Sul Corriere, su Rcs, ma non solo. Domanda numero uno: politicamente, che giornale diventerà il Corriere guidato da Urbano Cairo? “Dal punto di vista politico non cambierà niente. Per quanto riguarda la linea meno ci si accorge che io sia arrivato e meglio è! Il Corriere deve continuare a muoversi secondo un suo registro. La linea deve essere quella decisa dal direttore, non quella imposta dall’editore. Altra cosa è se mi si chiede come immagino lo sviluppo della casa editrice. Lì bisogna intervenire. Con più ricchezza editoriale. Con più contenuti. Con nuovi prodotti. E non escluderei anche con nuovi giornali. Settimanali o quotidiani è da vedere, ma lo spazio c’è. Bisogna essere aggressivi. Pensare a grandi campagne di comunicazione. Ne dico una: perché per esempio non abbassare per un mese il prezzo del giornale per rendere per un determinato periodo il Corriere accessibile a un numero maggiore di persone? Per quanto riguarda la Spagna invece bisognerà intervenire in modo ancora più urgente. Ci sono giornali importanti come el Mundo che hanno perso più copie della media dei giornali spagnoli. E quando hai un giornale che due anni fa vendeva poco meno di 200 mila copie e ora ne vende circa la metà devi interrogarti non solo sui costi ma anche sul percorso editoriale”. Il piano è chiaro, d’accordo, ma sulla politica Cairo, con molti sorrisi, cerca di svicolare e dunque insistiamo. Come se lo immagina, Cairo, il lettore del Corriere? “La verità? Io vedo una grande coincidenza e una massima sintonia tra chi vede La7 e chi legge il Corriere. Parliamo allo stesso pubblico, con un registro a volte diverso, ma con una profondità di analisi non così differente. Immagino persone che come me hanno a cuore un’informazione non urlata, approfondita”.
Quando si allude al terzismo, facciamo notare a Cairo, c’è però un problema. Un tempo essere terzisti significava allontanarsi dai due grandi poli (centrodestra e centrosinistra) per rifugiarsi al centro trovando dei punti di mediazione tra le due grandi scuole politiche e culturali. Oggi il centro politico non esiste più e se si vuole essere terzisti si corre il rischio di diventare grillini. Provochiamo: il Corriere è destinato a diventare un giornale grillino? “Lei ha ragione quando dice che il terzismo non esiste più. Ma non esiste più semplicemente perché oggi i poli sono diventati tre, e non più due, e dunque chi vuole pensare in modo libero deve fare un passo in avanti e diventare non più terzista ma… quartista!”. Che significa essere quartisti? “Non significa, come si potrebbe credere, non prendere posizione, perché solo Ponzio Pilato non prende mai posizione. Significa ragionare senza avere pregiudizi, sapendo che le idee del Corriere possono coincidere a volte con le idee di qualche partito o di qualche politico ma restano idee del Corriere che vanno al di là di tutti gli schieramenti possibili”. Il Corriere deve restare un giornale apartitico, d’accordo, ma cosa pensa Cairo dei capi dei partiti italiani? Berlusconi, Renzi, Grillo. Pronti, via. “Chi è per me Berlusconi? E’ un imprenditore diventato politico che aveva un piano che voleva realizzare – ma che purtroppo per lui e per l’Italia non è riuscito a mettere in campo – e che non ha raggiunto i risultati che avrebbe voluto”. Grillo? “E’ ancora presto per dire cosa è Grillo. E’ una novità tutto sommato recente del nostro paese che cresce laddove si manifestano situazioni economiche di generale difficoltà che portano le persone a rifugiarsi nel voto a cinque stelle per esprimere una forma generica di protesta. Per me Grillo è questo”. E Renzi? “Penso sia, a differenza di Berlusconi e Grillo, prima di tutto un politico. Con idee innovative, che cerca di cambiare il paese, a partire dalla sua architettura istituzionale e che certamente ci sta provando. La sua riuscita però dipende dal fatto che le ricette politico-economiche possano avere successo. Impegno e passione sono importanti ma diventano una miscela che funziona solo a condizione che producano miglioramento del benessere collettivo, a partire dall’occupazione. Capisco perfettamente la sua strategia di voler cambiare la Costituzione per costruire un paese all’interno del quale sia più semplice, secondo la sua versione, fare leggi. Ma il premier deve ottenere anche buoni risultati economici, l’organizzazione della struttura conta fino a un certo punto. Lo chiede chi non ha un lavoro ma lo chiede anche chi il lavoro lo crea come la classe dirigente”. La borghesia? “Anche la borghesia”. Cosa chiede la borghesia a chi governa? “La borghesia non chiede regali. Chiede di rendere più semplice la vita per chi fa impresa. Chiede che la spending review non venga fatta solo nelle aziende. Chiede che la politica capisca che ridurre i costi è il primo modo per trovare risorse per creare nuova occupazione. Chiede che non ci siano sprechi. Chiede che ci sia una tassazione degna di un paese che vuole crescere”. Il Corriere rappresenta da sempre la borghesia e con la vittoria di Cairo alla borghesia è arrivato un messaggio significativo: possiamo dire che il capitalismo di relazione è stato sconfitto da un capitalismo più di ideazione? “Da un certo punto di vista si può dire. E lo si può dire perché chi si è fidato di me non sono soltanto i miei compagni di viaggio di questa avventura, in primis gli amici di Intesa Sanpaolo, Giovanni Bazoli, Carlo Messina, Gaetano Miccichè, poi ovviamente l’avvocato Sergio Erede e l’advisor Equita, e non sono stati soltanto i fondi di investimento ma sono anche i piccoli risparmiatori, la gente comune, il pubblico. Hanno creduto in un progetto e hanno voluto cambiare lo status quo. Sarò all’altezza del compito”. A proposito di status quo. Ma Cairo voterà sì o no al referendum costituzionale. “Preferirei non rispondere ora, è un’idea che sto maturando”.
luglio 22, 2016