Intervista di Monica D’Ascenzo a Giorgio Benvenuto
«Il dibattito sull’incremento delle deleghe è diventato ormai ideologico ed emotivo e non posso afferrarne la drammaticità. Ritengo che dovendo affrontare il nodo ben più grande di un aumento di capitale importante non ci si debba chiudere in un fortino». Giorgio Benvenuto, ex segretario Uil e oggi membro del cda di Bpm, trova fuori luogo la spaccatura tra le diverse anime dell’azionariato della banca in un momento in cui sarebbe necessaria l’unità per affrontare cambiamenti importanti in linea con i rilievi dell’ispezione di Banca d’Italia.
«L’aumento da 3 a 5 deleghe così come l’aumento di capitale fino a 1,2 miliardi sono due proposte decise all’unanimità dal cda, dopo la drammatica divisione del board in occasione della proposta precedente di ricapitalizzazione da 600 milioni. Il cda, infatti, ha ritenuto di raccogliere le sollecitazioni di Banca d’Italia e di farle proprie» continua Benvenuto, sottolineando: «Il mio rammarico è che l’assemblea avrebbe dovuto rappresentare allo stesso modo un momento di grande unità, invece le dichiarazioni delle diverse associazioni, pensionati e comitato non dipendenti da una parte e Amici di Bpm dall’altra, hanno dimostrato una profonda spaccatura».
Se dovessero prevalere i no, è pronto alle dimissioni come Franco Debenedetti?
Se si dovesse verificare la prevalenza dei voti contrari, il cda dovrà allora ragionare sull’accaduto. Dobbiamo però rimanere fermi e uniti perché i dipendenti soci capiscano quanto sia necessaria una svolta culturale. Il cda non può abbandonare, infatti, quanto deciso e deve essere coerente con la risposta data alla Banca d’Italia. Abbiamo preso degli impegni che saranno puntualmente verificati da Banca d’Italia. Debenedetti pone questioni su cui occorre riflettere, ma bisogna che il cda resti unito.
Vale a dire che eventulmente riproporrete l’incremento delle deleghe?
Anche nel caso in cui sabato prevalessero i contrari, arriveremo lo stesso al risultato perché sarà inevitabile tornare su questa decisione e procedere all’aumento. La Bpm non può essere un anomalia nel panorama delle popolari.
Per i sindacati si può dire no a Banca d’Italia come hanno fatto altre popolari…
Il codice civile prevede che si possa arrivare fino a 10 deleghe. La media delle banche popolari non quotate è 4,5 deleghe e nelle popolari quotate 4,3. La nostra proposta è in linea con il mercato. Bisogna che la banca si apra, perché non ci sono rischi di scalate con il voto capitario.
Non si rischia di perdere la natura cooperativa di Bpm?
Non si snatura la popolare perché rimane il voto capitario. Nella realtà che ci troviamo ad affrontare abbiamo la necessità di allargare la base dei soci. Non si chiede alla Bpm di fare qualcosa di più delle altre. Per altro nessuna altra popolare ha avuto questi problemi quando c’è stato da aumentare le deleghe, non riesco a comprendere l’arroccamento. Anche Assopopolari non ritiene la questione dirimente.
La ricapitalizzazione della banca dovrà attrarre anche investitori istituzionali. A loro non bastano le deleghe?
Ritengo opportuno l’intervento fatto a riguardo del vice direttore di Banca d’Italia, Anna Maria Tarantola. Se gli investitori istituzionali fossero presenti in cda o nel collegio sindacale, si stabilizzerebbe la loro presenza e si eviterebbero investimenti speculativi in fase di aumento di capitale. Questo rafforzerebbe la banca.
Si trova d’accordo con Banca d’Italia quindi?
L’audizione al Senato della Tarantola sgombera il campo dall’ipotesi di complotto contro le popolari. Banca d’Italia pone il problema di come la tradizione delle popolari possa essere portata in un’era innovativa. Richiamo i soci, quindi, ad avere il coraggio di uscire da una fase difensiva di conservazione, di saper cogliere questi rilievi come un’occasione per far crescere la banca e per non isolarla. Questa battaglia sulle deleghe non aggrega consensi intorno alla banca, in un momento in cui ci sono passi ben più importanti da fare. In vista di una ricapitalizzazione di un miliardo dobbiamo dare garanzie sull’apertura della governance e sulla gestione della banca nell’ottica della valorizzazione degli apporti che verranno al capitale sociale.
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