Caro dottor Romiti, il lancio della 178, la world car con cui la Fiat si appresta a competere sui grandi mercati emergenti, ha avuto un articolo in prima pagina del Wall Street Journal un paio di giorni prima che ne parlassero i giornali di casa nostra, quegli stessi giornali che hanno poi dedicato pagine e pagine alla notizia della sua prossima nomina a presiden:e del gruppo. È stata rivisitata l’intera storia Fiat: Giolitti disposto a tirar di cannone sul Lingotto; l’ amarcord dei vestiti alla marinara; il professor Valletta, dai processi per collaborazionismo alle vicende dei sindacati gialli; la svolta decisiva del 1980. Alla ricerca della chiave interpretativa di un av vicendamento che comunque si segnala più per la continuità che per la rottura con il passato.
Non sono mancate le esagerazioni. Talvolta con esiti comici: rivedo la faccia dei cronisti a far la posta ier l’altro da-vanti alla redazione di Liberai, increduli che fossimo lì per parlare del pensiero economico di Luigi Sturzo, e che invece di un festoso tè con pasticcini i nostri amici non ci avessero neppure offerto un bicchiere di acqua minerale. Talatra con esiti paradossali: come quando Fabio Mussi in tv rimprovera alla Fiat di non avere inventato il fordismo o il toyotismo: e se lo immagina se mai l’avesse fatto? O ancora quando Novelli riprende la vecchia storia dell’Alfa Romeo venduta alla Fiat per pressioni politiche senza accorgersi che tra poco andrà nelle piazze a far campagna per Romano Prodi, che sull’assoluta trasparenza proprio di quella operazione giura e spergiura, carte alla mano.
Mi è venuto da chiedermi: perché tanta insistenza sui risvolti ‘personali’ delle vicende Fiat e della famiglia alla sua guida? In fondo in Germania in questi anni sono cambiati i vertici di Siemens, di Deutsche Bank, di Volkswagen, di Daimler, e l’analisi della stampa era essenzialmente volta a trarre da caratteri e storie personali di che le guida indica-zioni sulle future strategie delle aziende.
Certo, conta l’anomalia della dimensione relativa della Fiat nel panorama delle aziende italiane; certo, c’entrano i meriti e le marcate caratteristiche dei personaggi. Ma io credo che ciò rimandi anche a una particolarità del nostro ambiente economico, e che proprio il confronto con la Germania serva a metterlo in luce. Lì da dopo la guerra i nomi di Siemens o di Krupp o di Bosch hanno cessato di rappresentare, nell’immaginario collettivo, famiglie o persone, ma indicano aziende. Solo da noi, la difesa dall’invadenza dello Stato imprenditore prima, e dalla lunga deriva ideologica e sindacale anti-impresa che ha segnato il nostro infinito ’68, ha avuto bisogno di un personaggio simbolo in cui identifi-carsi, di un capitano d’azienda con forte valenza taumaturgica al quale guardare nei momenti difficili. Così si è raffor-zato il mito personale, sia nelle polemiche che nelle lodi; un mito che – presumo l’Avvocato con la sua ironia ne conver-rebbe – spesso nella vulgata trascende gli stessi meriti acquisiti in una lunga storia d’impresa.
Se così è, dottor Romiti, allora mi sembra che il passaggio del testimone nelle sue mani abbia anche un valore sim-bolico: quello di un ritorno alla normalità. La normalità di un paese che riconosce all’impresa privata la sua funzione di creatrice di reddito e di sostenitrice dei propri interessi, da mediare certamente con quelli della collettività. La normalità di un sistema di imprese che possa concentrarsi sulle cose da fare con serietà, senza più temere il ritorno di crisi estreme da cui difendersi sotto l’egida che più di una volta l’Avvocato ha dovuto impugnare.
Proprio a lei, che di questa evoluzione segnò un punto fondamentale con la svolta del 1980, tocca ora il ruolo non solo e non tanto di anello di congiunzione in una linea successione familiare, quanto di transizione verso una normalità in cui le imprese sono da valutare per ciò che fanno nel mondo reale, non soggetti da scrutare con sospetto per i disegni più o meno oscuri che loro si attribuiscono.
Ho sotto gli occhi una classifica, compilata dall’università di Gottinga, sulla trasparenza nei vari paesi del mondo: l’Italia è quintultima, sopravanzata da Messico, Colombia (sic), Grecia, Turchia, Argentina, oltre ovviamente dagli altri paesi europei. Anche questo ha a che fare con le imprese, e con la ‘normalità’ del paese in cui operano.
Quando lavoravo con lei, mi ha sempre colpito l’impressione che lei sa dare all’interlocutore della preminente importanza di ciò che in quel momento le si dice. Nel suo nuovo ruolo, aumenteranno gli interlocutori esterni al gruppo: dovrà convincerli che il miglior taumaturgo è la solida, determinata, ma in fondo ‘normale’, coscienza del proprio ruolo.
Le faccio molti auguri, dottor Romiti.
dicembre 14, 1995