È finita l’epoca del bipolarismo in trincea: ed è una discontinuità netta. Per questo motivo non erano possibili soluzioni parziali in articulo mortis, per questo era inevitabile l’”anomalia” della fine anticipata della legislatura. L’ha riconosciuto, per primo com’era doveroso, Walter Veltroni; Silvio Berlusconi ha risposto a tono.
Adesso sarà importante come reagiranno alla discontinuità quanti, analisti, economisti, intellettuali, persone autorevoli per competenze o per incarichi ricoperti, hanno un ruolo primario nell’orientare l’opinione pubblica. Ultimamente essi sono stati prodighi di proposte e suggerimenti, rivolti soprattutto al leader della Casa della Libertà: vogliono davvero aiutare la destra?
Tralasciamo le proposte ovvie, del tipo offrire all’avversario la presidenza di una delle due camere, atti di galateo istituzionale che costano meno di quanto possono rendere. E quelle irrealistiche, stendere congiuntamente un elenco di provvedimenti, impegnandosi ad approvarli: come se gli operatori politici non decidessero in base al loro interesse, cioè in base a ciò che pensano rafforzi la propria constituency. Un provvedimento favorevole in ugual misura ai loro rispettivi elettorati, verrebbe approvato senza bisogno di patti, altrimenti non c’è patto che tenga.
Più interessante è il suggerimento di varare, dopo le elezioni, una sorta di commissione Attali. E non per i 300 suggerimenti che essa ha prestamente partorito, e che altrettanto prestamente hanno dovuto vedersela con la realtà, facendo rientrare la più eponima delle riforme, quella dei taxi. Ma per il criterio di scelta, in base alle competenze e non alle idee politiche. Tradotto in italiano, questo significa la disponibilità, anche da parte di persone che finora hanno osteggiato Berlusconi, di collaborare con lui. Dunque di aiutare la destra. Una discontinuità anche questa, e non di poco conto: non va sprecata in lenzuolate di buoni propositi, ma deve esser costruita su solide fondamenta, cioè sui giudizi che si dànno del passato. Bastano pochi punti essenziali: ne suggerisco tre.
Primo: i conti pubblici. La politica economica del Governo, metodi e risultati della lotta all’evasione, saranno il tema centrale della campagna elettorale, sciocco pensare di tenerli fuori. Ma smettiamola col dire che i conti lasciati da Tremonti erano un disastro. Il deficit di competenza 2007 si è chiuso al 2,4% , al 4,3% si è giunti per decisione del governo di considerare di pertinenza annuale gli effetti della sentenza sull’IVA per le flotte aziendali, mentre Eurostat consente di passarne l’effetto direttamente a debito,e spalmato su più esercizi.
Secondo: le televisioni. È trent’anni che il centrosinistra fa una guerra ottusa e di retroguardia alla televisione privata, incassando sconfitte e perdendo consensi: come si è visto nel referendum sulle telepromozioni. Chi ha gridato al rischio democratico e al pericolo di regime, oggi dovrebbe arrossire imbarazzato. Difficile sostenere che sono state le televisioni del Cavaliere a far cadere Prodi. Per queste elezioni abbiamo le leggi sulla par condicio. E tra cinque anni, satellite e digitale terrestre avranno disegnato un campo di gioco totalmente diverso.
Terzo: la giustizia. Le speranze della sinistra che Berlusconi incappasse in qualche disavventura sono andate deluse. Ormai ha superato senza danni tutti i processi in cui è stato coinvolto. Invece di usare assoluzioni o prescrizioni come strumento di polemica politica, si provveda a una riforma del sistema giudiziario che ristabilisca corretti rapporti con il potere politico.
Discontinuità significa soprattutto evitare che la prossima legislatura sia come quella del 2001. E questo, questa volta, si gioca nel campo del centrodestra. Se vince le elezioni, ma anche se va all’opposizione: quei 5 anni dell’Ulivo sono essi pure qualcosa da non ripetere. Nel centrosinistra, quello che di nuovo doveva avvenire, sta già avvenendo; è il centrodestra ad apparire sguarnita. Una delle poche cose buone della legislatura 2001-2006 sono state le leggi sul lavoro e sul welfare: grazie a un intellettuale di sinistra, Marco Biagi, che si è preoccupato più di portare avanti i suoi progetti, che della coincidenza della propria identità politica con quella dei suoi interlocutori. Non c’è bisogno di essere insediati con tutti gli onori in commissioni, si tratta solo di guardare da subito ai temi della politica con mentalità laica. Dipende anche da scelte di questo genere se risultati positivi arriveranno al Paese dal voto degli italiani che da 14 anni in maggioranza o quasi continuano a votare per quella che a tanti intellettuali e commentatori parve un’anomalia.
Le idee liberali che, nel secolo scorso, hanno sconfitto una parte della sinistra, ne hanno in una certa misura modificato e fertilizzato l’altra parte. Invece, solo in Italia la destra è stata incapace di appropriarsene, di interiorizzarle e di improntare ad esse un’azione di governo. È anche merito di tanti nostri intellettuali ed economisti se oggi costruttivismo giuridico e interventismo economico non sono più la sola moneta corrente a sinistra. Ma adesso si apre una prospettiva nuova, e bisogna evitare che le proprie personali convinzioni, e i giudizi passati, condizionino le iniziative future. Bisogna usare la discontinuità, senza attendere oltre, e senza attendersi altro: bisogna aiutare la destra.
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febbraio 10, 2008