Riforma delle pensioni: gli effetti nel 2008
La riforma delle pensioni annunciata da Silvio Berlusconi e in procinto di approdare in Parlamento pone un tema particolarmente impegnativo alla sinistra di governo. Non solo per il suo oggetto, ma per come é congegnata: perché questa non é una riforma, ma una promessa di riforma. Infatti fino al 2008 ci sono solo (probabili) spese in più – gli incentivi per chi desidera prolungare la propria attività lavorativa-; i risparmi e gli obblighi vengono dopo, dopo le elezioni del 2006.
Per questo é impegnativo prendere posizione in merito: perché ciò che si dice oggi, deve essere coerente con quello che si dirà in quella campagna elettorale. La parte incisiva della riforma non sarà ancora partita, e quindi in quel momento la sinistra dovrà dire che cosa farà di quella riforma se vincerà le elezioni: mantenerla, abolirla, modificarla.
La sinistra non può disconoscere la necessità di una riforma strutturale, già quand’era al governo aveva dichiarato che era necessaria. Il punto più attaccabile del progetto é lo “scalone” del 2008, quando, allo scoccare dell’inizio dell’anno, per andare in pensione bisognerà avere o i 40 anni di contributi già previsti dalla riforma Dini, o servirsi del trattamento di vecchiaia, 65 anni di età con 20 anni minimo di contributi. Il progetto della sinistra potrebbe partire di lì, e incardinarsi su due punti. Primo, far perno più sull’età anagrafica che su quella contributiva, dato che ai giovani di oggi sarà sempre più difficile raggiungere i 40 anni di contributi; secondo, spalmare l’aumento di età anagrafica in modo da andare a regime (62 anni e 35 di contributi) entro il 2015, cioè la stessa data prevista dalla riforma Tremonti.
Dal fatto che attuare questa riforma é a carico di chi governerà il paese nel 2008, discende una conseguenza singolare. La proposta dell’opposizione non é, come di solito, un manifesto che resta lettera morta: se vince, è la sua proposta, non quella del governo, che verrà applicata; é questa che fin da adesso le autorità comunitarie, i mercati finanziari, le agenzie di rating devono giudicare. E’ in un senso molto specifico che, sulle pensioni, la sinistra di governo deve agire come se fosse al governo: i mercati, scontando la possibilità che vinca le elezioni nel 2006, valuteranno la sua proposta come se già oggi governasse.
Il clima politico non é certo favorevole a intese bipartisan, ma le proposte dell’opposizione dovrebbero essere valutate con attenzione anche dalla maggioranza. Le probabilità di vincere della sinistra aumentano con proposte serie ed eque. Paradossalmente, nel giudicare la politica finanziaria del Governo, Bruxelles e i mercati potrebbero tener conto, più che della sua legge, delle proposte dell’opposizione.
ottobre 17, 2003