Bisogna guardare alla crisi greca avendo in mente l’interesse dell’Italia: sembra ovvio al limite della banalità. Ma qual è l’interesse dell’Italia hanno in mente quelli che pensano che con Tsipras abbiamo trovato un alleato? Alleato per fare che?
Non tutti, com’è logico, concordano su che cosa sia bene per l’Italia: per me, in questa situazione, bene per l’Italia è che l’euro, il suo presente e il suo futuro, non sian messi a repentaglio. Più rischiosa diventa la sopravvivenza della moneta e più si allargano gli spread e un paese con 2 mila 152 miliardi di debito non se lo può permettere. Perché rischio vuol dire spread, e noi non ce lo possiamo permettere.
L’Europa, dice Tsipras, si basa sulla democrazia. Il suo successo conferma che in Grecia la maggioranza è contraria all’euro, non al punto di volerne uscire ma negandone il presupposto: il rispetto dei trattati. Quello che per uno stato nazionale sono i confini, per l’Europa sono i trattati. Ripudiare gli accordi sottoscritti dai precedenti legittimi governi è l’equivalente di non riconoscere, e quindi di ritenersi liberi di violare i confini di un altro stato. Pretendere il diritto di avere il proprio debito cancellato, in base al precedente che nel 1955 era stato cancellato quello della Germania, è sabbia consapevolmente lanciata negli occhi dei tedeschi: quelli erano debiti contratti per pagare le riparazioni della Prima guerra mondiale. E poi il debt for equity swap può esser conveniente: dipende in chi si investe, e investire in Germania nel 1955 non è stato male.
Quanto a credibilità dell’euro, adesso possiamo contare sul Qe, provvidenzialmente (e non casualmente) annunciato dalla Bce prima delle elezioni. Dopo le elezioni dobbiamo chiederci che cosa renda l’euro meno credibile, un focolaio di populismo anti euro in Grecia, o l’allargarsi in Germania del purismo di chi vuole difenderne il valore? Syriza è un morbo contagioso, ma AfD potrebbe essere, per l’Europa, un infarto fatale.
Il nostro interesse nazionale è contenere il contagio. In Grecia, con la dichiarazione di non volere rispettare i contratti, il morbo è esploso. In Spagna con Podemos potrebbe diffondersi. In Francia Hollande perde un’occasione per tacere e Marine Le Pen non si lascia sfuggire quella di parlare. In Italia, il 54 per cento dei cittadini considera la Germania come il maggior pericolo, ma Renzi e la Merkel dialogano davanti al David. Renzi ha caratteristiche personali per intendersi con Tsipras, appartengono alla stessa generazione, parlano linguaggi simili; da noi la Troika non è mai arrivata, l’austerità non l’abbiamo mai avuta, e quindi Renzi non può chiederne la fine, ma abbiamo una disoccupazione sopra il 13 per cento, e la sua perorazione per maggiore flessibilità e maggiore attenzione alla crescita ha avuto un certo successo di pubblico e di critica. Non si tratta di fare il pontiere o il mediatore: si tratta di accompagnare Tsipras in un percorso di rispetto dei confini, di rientro nei trattati. E naturalmente di riforme, dove la Grecia è in ritardo perfino rispetto a noi. Le circostanze consegnano all’Italia una posizione di decisiva importanza. E di potenziale vantaggio. Dentro o fuori dall’Europa: il referendum che Papandreou aveva proposto di tenere era un pericolo mortale per l’euro, nel 2011 Berlino e Francoforte erano terrorizzati dalla possibilità di un Grexit. Oggi, dei 322 mld del debito greco, solo 65 sono presso privati, il resto è diviso tra Efsf/Esm (142), Fmi (35), Bce (27), stati dell’Eurozona (53). L’arcigna Europa ha ristrutturato il debito greco due volte. Con la prima nel novembre 2012, gli ultimi pagamenti cadono nel 2044 e il tasso d’interesse è dello 0,6 per cento: non proprio un “waterboarding fiscale”. Il secondo è passato quasi inosservato ma è stato pesante: tra allungamento dei termini e riduzione dei tassi l’Efsf avrebbe rinunciato al 40 per cento di quanto dovuto. Oggi il servizio del debito costa alla Grecia il 4,4 per cento del pil, meno del Portogallo. Se lo si riducesse a metà Tsipras potrebbe mantenere sia una parte delle promesse fatte in campagna elettorale sia il bilancio in pareggio.
Le soluzioni finanziarie si possono trovare: i creditori sanno che a volte la conversione del debito in azioni è la sola soluzione. Quelle che contano sono le posizioni politiche. Non si può restare nell’euro e non riconoscere i trattati che ne sono l’essenza. E questo non vale solo per il “ribelle iconoclasta” Tsipras, vale anche per gli autorevoli sostenitori della mutualizzazione del debito, degli Stati Uniti d’Europa a venire: l’una e gli altri esplicitamente negati dai trattati.
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