Al telefono con Bruno Manghi

aprile 1, 1995


Pubblicato In: Varie


Intervista di Franco Debenedetti a Bruno Manghi

La polarizzazione a cui stia­mo assistendo nel panorama politico italiano avrà secondo te un riflesso nell’ambito sociale? E quale?
Io sono del parere che non ci sarà un rapporto molto stretto tra pola­rizzazione politica (o meglio eletto­rale) e polarizzazione sociale. L’area di favore nei confronti di Berlusconi, infatti, è interclassista, come è interclassista l’opposizione. I sentimenti collettivi che Berlusconi interpreta sono sentimenti che tro­viamo anche nei ceti che si riconoscono nelle varie componenti del­l’opposizione. Il messaggio di Berlusconi ha successo perché è un messaggio di ottimismo.

Quali riflessi avrà sul Piemonte questa situazione?
In Piemonte occorrerà fare i conti con una contrapposizione tra le aree metropolitane più sensibili ad un discorso di centro sinistra e il Piemonte profondo che invece è più mobilitabile sulle tesi anti­stataliste, è stufo delle regole e della stessa Torino.

L’assenza di una polarizza­zione sociale avrà secondo te delle ripercussioni sulla (chia­rezza delle) politiche ammini­strative?
È un pericolo, soprattutto per quanto riguarda il breve periodo. Sul lungo periodo, invece, entreran­no in gioco i modelli di sviluppo e ci troveremo perciò di fronte ad un programma berlusconiano di natura antisociale e ad un programma dell’opposizione prioritariamente orien­tato sul sociale. Questa contrapposizione però, è bene sottolinearlo, diventerà eviden­te solo a lungo ter­mine. Finora Berlusconi ha dimo­strato ampia­mente di volere un accordo con le parti sociali: con i sindacati, poi, ha cercato anche un accordo di tipo tradizionale e per questo è stato criticato. E poi non dimentichiamo la quota non indifferente di compo­nenti populiste presenti nella coalizione di Berlusconi.

Ci troveremo quindi di fron­te ad una competizione poli­tica che mira ad avere suc­cesso indipendentemente dai contenuti amministrativi?
Si, parliamo però sempre del breve periodo. Sul lungo sono in gioco il rapporto con l’Europa e il modello di svilup­po, allora le cose dovranno cambiare. Assisteremo ad una contrappo­sizione che vede da un lato, dalla parte di Berlusconi, una tendenza diciamo al laissez faire, più che al liberismo e, dall’altra, le linee di politica economica e sociale che si richiamano a Delors.

Come giudichi l’area politica intorno a Prodi e la possibilità che quest’area trovi un equilibrio efficace al proprio interno?
Se l’Ulivo è diverso dal PDS c’è un margine di successo, altrimenti sarà l’ennesima sconfitta.

Ma il rapporto a sinistra, anche al di là delle recipro­che intenzioni, è sempre un rapporto di tanti a pochi. Non si può chiedere al PDS di sparire per lasciare spa­zio alla nascita di uno schie­ramento d’opposizione, anche perché non c’è nessuna garanzia che questo sia una condizione necessaria per­ché ciò avvenga.
No, il PDS non deve sparire: non deve fare nulla. Non è poi vero che sempre il rapporto a sinistra sarà di tanti a pochi, tra PDS e gli altri. Se tutte le aree e le presenze non PDS avessero la sensatezza di convergere allora anche i rapporti di forza sarebbero diversi. L’Ulivo è di per se di centro sinistra ed è l’unico che può portare un gruppo dirigente alla guida del Paese, cosa che chia­ramente il PDS non riesce a fare. Questo progetto può avere suc­cesso se attorno all’Ulivo e a Prodi si riesce ad imitare il capolavoro di Berlusconi, senza voler escludere qualcuno o fare delle crociate. Berlusconi è riu­scito a portare gente nuova alla politica e, nello stesso tempo, con il suo sistema di alleanze ha lasciato spazi aperti ad una quota del professionismo politico.

Vedi quindi un Ulivo che si istituzionalizza.
L’Ulivo si fa per le elezioni: se avrà successo, poi si vedrà.

Quindi Prodi più come candi­dato a capo del Governo che come leader di una struttura politica…
C’è un problema di stile e di ragionevolezza: se si pone mano ad un partito che toglie spazio a realtà esistenti si possono creare anche reazioni non desiderabili, ma certo bisogna puntare a qualcosa di più di una semplice alleanza o di un cartello elettora­le. Il primo problema comunque è come si fa la campagna eletto­rale: il programma, le liste.

Certo Prodi deve andare oltre l’immagine del leader.
Ma in questo è avvantaggiato: Prodi ha una forte idea di squadra. Non teme il protago­nismo intellet­tuale di altri, piutto­sto sa valoriz­zarli.

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