Intervista di Franco Debenedetti a Arnaldo Bagnasco
D: Professor Bagnasco, in termini di nuovi schieramenti politici e di regole elettorali siamo ancora nell’incertezza. Quale potrebbe essere, secondo lei, la “via piemontese” alla creazione dei due principali schieramenti alternativi?
R.: Per rispondere a questa prima domanda è opportuno adottare un atteggiamento prospettico: osservando con attenzione i recenti avvenimenti elettorali – sia a livello amministrativo che politico – scopriamo in tutta la Pianura Padana e in generale nel Nord Italia un cleavage politico che non è stato abbastanza evidenziato.
Esiste una grande differenza tra il risultato del voto nelle capitali regionali e nelle grandi città (Torino, Genova, Venezia, Trieste) che mostrano un quadro elettorale complesso e variegato – e nelle medie o piccole città – che sono diventate terra di conquista della Lega e in generale della destra. La specificità della capitale Torino nei confronti del resto della società piemontese è un dato che riguarda tutte le regioni del Nord e che, in prospettiva elettorale, va valutato con attenzione.
D.: Tenendo conto di queste osservazioni, da che parte dovrebbe cominciare la Sinistra per creare un’aggregazione elettorale vincente in vista delle prossime elezioni Regionali?
R.: È necessario tener conto del fatto che sta avvenendo, nei sistemi politici di tutta Europa, una ripresa di quello che i politologi chiamano l’ “asse territoriale” in contrapposizione al cosiddetto “asse funzionale”. Sebbene continuino ad essere importanti il modo di organizzazione sociale dell’economia e altre variabili di questo tipo, esse tendono altresì a ricomporsi secondo specifiche dimensioni territoriali. Io credo perciò che per ricostruire una politica di sinistra in Piemonte occorre partire da una certa idea del Piemonte e del suo spazio nell’economia e nella società nazionale. Questa forma di regionalismo è molto più fondata dei regionalismi “culturalisti” di cui abbiamo avuto molti esempi negli ultimi anni e che sono riferiti prevalentemente al passato: essa riguarda infatti sia differenze precedenti, sia differenze nuove, non tanto dal punto di vista culturale, quanto dal punto di vista di forme di economia diversamente organizzate e di aspetti della mediazione politica che appartengono a società differenti.
D.: Del resto, mentre sembra relativamente facile immaginare a livello cittadino aggregazioni politiche nuove che sappiano intercettare e interpretare questi filoni, a livello regionale appare già più difficile e a livello nazionale disperante.
R.: Attualmente la società italiana sta diventando molto più complessa di una volta e non è quindi facile da parte di un partito o di un movimento politico riaggregare una domanda politica molto differenziata. I grandi filoni di aggregazione tradizionali – legati a prospettive ideologiche e fondati su appartenenze religiose o di classe facilmente definibili – a seguito di queste trasformazioni non sono più proponibili. Le difficoltà dell’attuale Governo nazionale possono essere spiegate con il fatto che esso è rappresentativo della società italiana e delle sue molteplici sfaccettature, e ha parecchie difficoltà a gestire una situazione di questo genere. Un regionalismo ben temperato comporterebbe dei vantaggi sia per la gestione delle società regionali, sia per la gestione della politica nazionale nel suo complesso. Esso avrebbe infatti, da un lato, la funzione di aggregare nel luogo proprio differenze specifiche di interessi e cultura e, dall’altro, quella di portare a livello nazionale una politica maggiormente riaggregata e dunque maggiormente gestibile.
D.: In conclusione, Professore, quali temi specifici la sinistra dovrebbe seguire e interpretare in un discorso che riguardi il Piemonte e dunque le prossime consultazioni elettorali?
R.: Una società complessa come il Piemonte deve avere il coraggio di battere strade nuove che siano però legate al proprio passato e alle risorse di cui dispone. Con alcune cautele, dunque, uno dei filoni aggreganti potrebbe essere quello del destino della grande industria e della capacità di organizzazione industriale, che il Piemonte possiede in larga misura. Il mondo sociale, politico, culturale e sindacale della grande industria, che una volta pensavamo si sarebbe esteso a tutta l’Italia e che invece attraversa oggi un travaglio e una fase di trasformazione, questo mondo, con le sue tensioni interne e le sue differenze sociali, ha bisogno di rappresentanza. Proprio perché esiste il rischio concreto che diventi solo più una specie di “riserva indiana”!
novembre 20, 1994