Che lo schieramento provvisoriamente chiamato partito democratico necessiti, per formarsi, di un leader, è cosa su cui si discute già da prima delle elezioni: Ciampi, Spaventa, D’ Antoni, Veltroni, ora Prodi. Altri si starebbero scaldando in panchina. Adesso, quello che sta diventando chiaro è che c’è bisogno non di uno ma di due leader: trovare un leader al partito conservatore è forse ancora più urgente, se vogliamo sperare che le attuali traversie del sistema politico italiano conoscano un esito verso un accettabile gioco democratico.
Tutti i clamorosi errori di questo governo (si rabbrividisce al pensare che son passati solo quattro mesi) hanno messo in luce il limite strutturale più irrimediabilmente grave del suo leader: la mancanza di cultura. Non ci si riferisce solo alla mancanza di cultura costituzionale, per cui il governo, non il parlamento avrebbe poteri sovrani; o giuridica, con i pasticci combinati a più riprese in sede legislativa; o parlamentare, che ha determinato il tonfo del decreto Biondi. Mancanza di cultura politica è pensare che per governare bisogna comandare, e per comandare bisogna possedere. Mancanza di cultura è circondarsi di tanti uomini volgari e arroganti, accomunati dal disprezzo comunque di tutto e tutti del passato, mai un lampo, un’idea, la semplicità ridotta a piattezza, lo spirito a volgarità (come nella memorabile frase sulla notte a Caserta del G7: «Attenzione all’atmosfera romantica, se no questa notte aumentiamo la prole»).
Mancanza di cultura è ridurre l’arte della comunicazione alla banalità dello spot, sostituire la logica che guida l’azione con la fiducia che attende il miracolo. Mancanza di cultura appena mascherata da quella dispensata in pillole nei corsi di ‘cultura manageriale’, un gergo semplificatorio, che si accontenta dello slogan motivante facile da apprendere e facile da riproporre, dove si alimenta il mito del capo-chenon-riposa, la fiducia nella creatività del brainstorming, il culto efficientista del `fatto!’.
Già si era visto in campagna elettorale: l’unica idea che Berlusconi ha saputo esprimere è stata, e rimane, il resuscitare il timore e il rancore anticomunista: un richiamo a visceralità antistoriche, senza un’analisi, senza un distinguo, un salto all’indietro nel grembo di emozioni irrazionali. Oltre la ‘cultura’ del Movimento Sociale, e a quella di Bossi (povera ideologia milanese!), questo è tutto quanto Berlusconi ha saputo aggiungere di suo.
La cultura si impara, ma c’è un punto del proprio percorso intellettuale oltre il quale la mancanza di cultura è fru:- to di una sequenza di scelte. E nel permanere di quelle ragioni, si potrà anche diventare esperti, ma mai colti. Chi può pensare che Berlusconi sia cosciente di essere un uomo incolto? E senza cultura continueremo ad avere un capo de: governo, e della coalizione di maggioranza, da cui sarà inutile attenderci che venga fuori lo statista.
Ora, di fronte ai ripetuti tonfi, ai disastri di questa settimana e a quelli che ineluttabilmente ci attendono quando si tratterà di varare la finanziaria, sono in molti a pensare che il destino di Berlusconi sia segnato: la cultura non è un optional. Il fatto è che con questo si apre un problema, non Io si chiude. Perché bisognerà pur riflettere sul fatto che nonostante i suoi chiarissimi limiti culturali, nonostante l’handicap di argomenti scarsamente popolari quali il conflitto di interessi, Berlusconi ha vinto. Anzi proprio queste considerazioni devono indurre a valutare quanto potenti siano le forze e i sentimenti che l’hanno portato al potere. Queste forze esistono, muovono e commuovono, e si meritano di essere rappresentate a un livello culturale adeguato alle strade che indicano, alle convinzioni e ai desideri che esprimono.
Questa middle class, il cui tessuto molecolare non è stato ancora analizzato a fondo, ha deciso di fare da sé in politica, e desidera quindi identificarsi con una personalità carismatica; ma è cosciente del valore delle intese sociali che ci hanno consentito di avere svalutazione senza inflazione. Non ha soverchie preoccupazioni per i problemi di conflitto di interessi, può fin plaudire a certe manifestazioni di arroganza; ma è infallibile nel cogliere manifestazioni di inefficienza. Può avere dimenticato le lezioni dei grandi maestri del pensiero liberaldemocratico anche nostrano, ma sa distinguere i grandi progetti di riforma dello Stato e della società dalle improvvisazioni quotidiane. Abituata ad avere il mondo come proprio spazio d’azione, sa quanto ai suoi commerci sia necessaria la stima per il suo paese e per il suo governo. Sarebbe grave per il gioco democratico, se queste forze, deluse dall’uomo che per primo le ha sapute esprimere, non trovassero rappresentanza anche culturalmente adeguata.
Questo è ora il problema per la corretta evoluzione del nostro sistema politico. Problema difficile, perché è difficile, una volta che si è evocato lo spirito, farlo rientrare dentro la bottiglia. Problema urgente, perché è perfin dubbio che sia conveniente che la soluzione nasca da una pausa di meditazione dopo una sconfitta.
Trovare il leader per il partito democratico è sicuramente importante: ma trovarne uno per il partito conservatore lo è, oggi, forse ancora di più. Anche perché si può star sicuri che c’è uno che questo problema non se lo pone: Gianfranco Fini. La sua cultura la conosciamo benissimo.
agosto 31, 1994