Gli amici (intonazione accorata): “Adesso che ti abbiamo eletto, mica te ne vai a Roma e ti fai rivedere alle prossime elezioni?”
I commercianti dei mercati ( intonazione sfottente): ” Voi politici, solo alle elezioni vi ricordate di noi!”
Il sistema elettorale maggioritario ha tra i suoi vantaggi quello di un piu’ stretto rapporto tra elettori ed eletti: il candidato e’ si’ indicato dai partiti, ma essendo l’unico candidato per ogni schieramento, vi sovrappone la propria immagine e si gioca la propria credibilita’. (E qui si noti per inciso come la legge elettorale a semplice anziche’ a doppio turno, inducendo agli accordi di desistenza, introduce un elemento di contraddizione nel sistema: agli elettori di un collegio si chiede di votare un candidato non di loro scelta perche’ altri elettori di un altro collegio facciano altrettanto!). E’ anche per questo che la campagna elettorale e’ un’esperienza cosi’ interessante e cosi’ arricchente sul piano umano e politico. Far vivere quel rapporto dopo l’elezione risulta pero’ assai difficile. Ricordo che gia’ dopo le elezioni del 1994 ( ma credo che altri con esperienza parlamentare piu’ lunga della mia possano confermarlo) erano nate iniziative per rendere stabile il rapporto con gli elettori del collegio: finite in nulla dopo pochi mesi.
La realta’ e’ che quello del rapporto tra collegio ed eletti e’ un tema complesso: e non basta a risolverlo una frase affettuosa agli amici, o una battuta ironica ai commercianti, e neppure il volontarismo attivistico degli esordi. E’ un tema che riguarda da un lato l’oggetto, dall’altro le modalita’ del rapporto stesso.
Quanto all’oggetto, conviene ricordare che il dettato costituzionale impone all’eletto di esercitare il proprio ruolo “senza vincolo di mandato”: il parlamentare ha cioe’ il preciso dovere di rappresentare solo l’interesse collettivo, e non quello di una qualunque aggregazione di interessi, fossero pure quelli di chi lo ha eletto. In cio’ il nostro sistema e’ radicalmente diverso da quello americano, dove il lobbismo e’ previsto e regolato per legge. Inoltre, il sistema prevede una molteplicita’ di livelli, ciascuno con rappresentanze elettive, per rappresentare, dibattere e conciliare gli interessi di comunita’ piu’ ristrette della comunita’ nazionale. I parlamentari sanno bene che il piu’ delle volte i loro elettori – magari proprio quelli che si professano federalisti- pongono problemi che sono di competenza di sindaci, assessori, presidenti di circoscrizioni. Bastano semplici considerazioni di efficienza a imporre il principio di sussidiarieta’: tutto cio’ che puo’ essere deciso a un livello inferiore dell’ordinamento non sia demandato a livelli sovrastanti.
L’esigenza per un parlamentare di “prendere le distanze” dai problemi specifici di un segmento della popolazione ha ragioni morali e politiche che vanno ben oltre il principio di efficienza. Il legislatore deve produrre regole formali , come dice Hayek, “dalle quali ci si aspetta che siano utili per persone che ancora non si conoscono, per scopi per i quali queste persone decideranno di usarle, e in circostanze che non e’ possibile prevedere nei dettagli… Se lo Stato deve prevedere con precisione l’incidenza delle sue azioni, questo significa che esso non lascia nessuna scelta agli interessati… Dove si conoscono gli effetti precisi della politica governativa su particolari persone, esso non puo’ non conoscere questi effetti e, di conseguenza, non puo’ essere imparziale”.
Oggetto del rapporto tra elettori ed eletti in Parlamento devono essere quindi solo temi di carattere generale: il dato locale fornisce solo una base empirica di conoscenze per stimolare la ricerca di soluzioni generali, in cui integrarle. L’elettorato locale e’ quello con cui primamente verificare le conseguenze di proposte politiche generali, per evitare il rischio di astrattezza.
Ne’ si pensi che cio’ sia riduttivo: la storia dei “comitati Prodi”, e’ li’ a dimostrare quanta richiesta di politica ci sia nell’elettorato, quanta carica di entusiasmo ci sia a dispetto delle indubbie carenze organizzative.
E con cio’ veniamo al secondo aspetto del problema, come cioe’ praticamente strutturare il rapporto con gli elettori. Soprattutto nelle grandi citta’, fuori dalle sedi dei partiti scarsi sono i luoghi e rare le occasioni in cui incontrare fisicamente gli elettori. L’organizzazione di incontri impone al parlamentare un impiego di tempo e di energie incompatibile con i suoi doveri; il tutto poi sovente si riduce ad una serata tra pochi amici: umanamente utile e piacevole, ma politicamente poco produttiva.
Avrebbero dunque torto gli amici e i commercianti dei mercati? Certamente no: rispondere alle loro richieste e’ compito in primo luogo dei politici. Credo che si fara’ un passo avanti se si riconoscera’ che il problema non e’ quello delle priorita’ ( Roma o Torino?) ne’ quello dell’impegno volontaristico. E’ un problema che va affrontato da un lato definendo i contenuti del discorso e dall’altro riconoscendo che il ridimensionarsi degli apparati partitici ha messo a nudo un deficit di relazioni politiche che e’ compito di tutti – non solo dei parlamentari- cercar di colmare.
giugno 1, 1996