L’acqua è un bene pubblico, non ci piove. Dacia Maraini, che se ne preoccupa nella sua rubrica di martedì, può stare tranquilla. Che però a un certo punto diventa privato. Perde la sua natura pubblica quando fa girare le turbine (private) che producono elettricità? Quando irriga campi privati? E quella del rubinetto, lo diventa quando riempie il bicchiere? Come gli altri beni della terra, l’acqua è un bene pubblico, e il suo essere pubblico si realizza quando le usa il pubblico vero, l’“utilizzatore finale”. Quello che conta non è l’“in sé” del bene, ma il modo con cui viene usato. Bisogna distinguere il bene dal servizio.
Nel caso dell’acqua, per fornire il servizio ci vogliono infrastrutture complesse, di alimentazione e di trattamento dei reflui. Ci sono valide ragioni perché, nelle città, siano di proprietà pubblica. Ma l’infrastruttura va gestita, manutenuta (l’Acquedotto Pugliese, il più grande d‘Europa, una Spa di proprietà pubblica, perderebbe il 30% dell’acqua), ampliata; ci sono contatori da leggere, fatture da emettere e da incassare. La domanda, quindi, non è ideologica, ma pratica: chi svolgerà un servizio migliore? Chi per legge dovrà fornirlo per l’eternità, per il solo fatto di essere pubblico, oppure chi, privato oppure anche pubblico, perché ha vinto una gara per gestire l’infrastruttura, che dopo 10 anni dovrà rendere, e sa che, se sgarra, paga e magari perde la licenza?
Il prezzo? Se un comune intende praticare un prezzo inferiore ai costi può sempre farlo per il tramite del concessionario. La qualità? è imposta da leggi e regolamenti, e chiunque – pubblico o privato – deve garantirla. Se un’amministrazione non è in grado di controllare quella offerta da un’azienda terza, come si può pensare che sia capace di farlo verso dipendenti comunali che sono loro colleghi? se viene meno l’identità tra concessionario e concedente si elimina un conflitto di interessi. Proclamare apoditticamente la natura pubblica di un bene, e non distinguere tra bene e servizio, è solo funzionale a trasferire il mitico “in sé” pubblico del bene nel mantenimento della concreta gestione pubblica del servizio. Cioè a creare rendite. Pubbliche, ma rendite.
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di Dacia Maraini – Il Corriere della Sera, 03 novembre 2009
novembre 5, 2009