Abrogare la riserva di Stato sul cavo

ottobre 1, 1994


Pubblicato In: Varie


Come saranno le ‘autostrade informatiche’?
Larghe e a doppia corsia. Per far passare rapidamente le informazioni necessarie a poter scegliere tra centinaia di film, effettuare videoconferenze o diagnosi mediche, per lavorare da casa avendo a disposizione tutti i documenti che servono, per sfogliare il catalogo di un grande magazzino, e magari ordinare un vestito su misura vedendo sul video ‘l’effetto che fa’, è necessario disporre di canali di comunicazioni larghi (più esattamente a banda larga); non bastano più i due fili di rame del normale telefono, e neanche il cavo coassiale che è largamente diffuso in altri paesi, ci vuole la fibra ottica. (Ci sarebbe anche il satellite, ma sembra meno… vicino).

Nel mondo delle telecomunicazioni, almeno là dove i mercati sono stati non solo privatizzati ma liberalizzati, si sta combattendo una battaglia che ha per posta il trasmettere in tutto il mondo tutto quanto può essere messo in forma digitale. Battaglia su due fronti: la conquista dei grandi clienti affari e la convergenza di telefono e televisione.
Cominciamo dal primo fronte. I grandi utenti business chiedono: videoconferenze, se sono aziende industriali; trasmissione istantanea di enormi masse di dati, se sono istituzioni finanziarie; dati sulle scelte individuali dei clienti, se sono grandi magazzini. E poiché le grandi aziende hanno attività in tutto il mondo, desiderano disporre di collegamenti rapidi, uniformi e sicuri ovunque. La dimensione nazionale non basta più: per offrire all’utenza affari un servizio globale le compagnie telefoniche europee stanno concludendo costosissime alleanze con chi già possiede una rete che avvolge tutto il globo: British Telecom con l’americana Mci, Unisource (che già unisce Svezia, Olanda, Svizzera Austria) con At&t, Francia e Germania con Sprint.
C’è poi il problema dei prezzi del servizio. La bolletta telefonica di una grande banca europea può essere il 30 cento del suo fatturato; in America pagherebbe la metà. Una piccola utenza affari paga in Italia 1,15 milioni al mese; in Inghilterra pagherebbe 600 mila lire. E già oggi ci sone aziende che offrono a utenti europei collegamenti con gli Usa ai prezzi Usa. Questo ha già prodotto alcuni risultati: negli ultimi dieci anni il costo di una chiamata internazionale e minuito del 50 per cento in termini reali, mentre quella delle chiamate nazionali solo del 30 per cento.
La soluzione è quella di liberalizzare i mercati, non solo di privatizzare i monopoli, e quindi di introdurre concorrenza. Come ha fatto negli Usa il giudice Green rornpendo il monopolio di At&t: questa può solo operare su tratte extra-urbane, mentre le sette compagnie regionali (le cosiddette Baby Bell) non possono né gestire traffico a lunga distanza, né produrre apparecchiature, né trasmettere segnali televisivi. Conseguenza: sul traffico a lunga distanza la concorrenza (tra At&t, Mci e Sprint) ha fatto diminuire i prezzi del 40 per cento in dieci anni; invece quando si tratta di collegarsi all’utente finale, bisogna per forza passare dalla compagnie regionali, i cui prezzi sono aumentati del 30 per cento nello stesso periodo. Ma i giorni che separano da una completa liberalizzazione sono contati.
In Inghilterra, British Telecom è stata messa in concorrenza con Mercury, i costi sono diminuiti e il servizio enormemente migliorato.
La tecnologia poi apre la possibilità di una concorrenza affatto nuova, che insidia le posizioni dominanti delle società basate sostanzialmente sugli impianti di terra. La telefonia cellulare fa a meno di tutti i collegamenti fisici che entrano nelle case e negli uffici: perciò l’At&t ha concluso un’alleanza con Mc Caw, che le permetterebbe di saltare le compagnie regionali per l’ultima tratta di collegamento. E poi ci sono i progetti multimiliardari (in dollari) che prevedono di assicurare i collegamenti tramite un gran numero di satelliti posti in orbita a bassa quota (per ridurre l’effetto ritardo nella risposta): vi sono coinvolti giganti quali Motorola e Microsoft.
In Europa, per rispondere alla sfida della globalizzazione dei servizi e catturare l’utenza affari, France Telecom e Deutsche Telekom hanno speso una fortuna (4,2 miliardi di S) per acquistare una quota di minoranza dell’americana Sprint. Ci si è messa anche Strasburgo, che, seppure per motivi di natura procedurale e di potere, ha posto un veto alla totale liberalizzazione delle telecomunicazioni in tutta l’Unione Europea entro il 1998.
Quanto a noi, tutti presi dalle dispute sulla privatizzazione Stet, ci siamo praticamente isolati dal mondo che conta. Pochi predicatori nel deserto chiedono che la privatizzazione ponga fine almeno ai monopoli verticali presenti in Stet: è noto che Sip acquista apparecchiature da Italtel, e lavori di posa da Sirti, entrambe partecipate Stet. Meno noto è che nel decennio 1980-90 questo sarebbe costato a Sip maggiorazioni di costo dell’ordine di 3.500 miliardi l’anno. con rate di ammortamenti maggiorate di 350 miliardi l’anno.
Veniamo adesso al secondo fronte, dove si gioca la battaglia del cavo, che ha per posta la convergenza tra telefono e televisione. Entrambi già entrano con un collegamento fisico dentro le case: il doppino telefonico e il cavo chericeve il segnale televisivo. Da noi questo è solo collegato all’antenna, mentre quasi tutte le case americane son collegate a una rete cavo; in Inghilterra, dopo che negli ultimi 3 anni sono state date 130 licenze a operatori cavo, queste già contano 750 mila abbonati. Stendere una rete nazionale in fibra ottica è un investimento gigantesco: facile da giustificare per le grandi dorsali che attraversano il paese, o per collegare le grandi utenze affari, arduo per i collegamenti a privati che generano traffico minore e imprevedibile: è il cosiddetto problema dell’ultimo chilometro. Per cablare l’Inghilterra (dove la sola British Telecom ha già steso 2,5 milioni di km) si calcola siano necessari 30 mila miliardi. Come finanziare questo investimento? Nell’attesa che i nuovi servizi generino mutazioni sociologiche nel modo di lavorare, di istruirsi, di acquistare, solo la domanda esistente di servizi telefonici e di intrattenimento televisivo può consentire di reperire le risorse per cablare larga parte del paese.
In Usa il problema di cablare il paese è già stato risolto. Logicamente quindi alle sette compagnie regionali (le cosiddette Baby Bell), nate dallo smantellamento del monopolio At&t, non è stato finora consentito di trasmettere segnali televisivi. Ora le Baby Bell stanno per ottenere l’eliminazione di questo vincolo e come contropartita sono disposte ad accettare che si dia il permesso alle Tv di utilizzare il cavo anche per servizi telefonici: il 9 Agosto le sei maggiori società di Tv cavo hanno annunciato che investiranno 3 mila miliardi per fornire ai loro abbonati anche il servizio telefonico.
In Inghilterra invece, cha ha problemi simili ai nostri, a British Telecom è stato proibito di fornire programmi televisivi fino al 2003, mentre è consentito alle Tv via cavo di fornire servizi telefonici. Si vuole così ottenere il duplice risultato, di far nascere operatori cavo e di creare concorrenza nel servizio telefonico. Bt naturalmente si oppone, sostenendo che questa limitazione farebbe ritardare lo sviluppo delle ‘autostrade informatiche’. Per superare l’impasse è stato proposto di formare una società dedicata esclusivamente a costruire e gestire l’infrastruttura: a essa parteciperebbero sia i gestori telefonici che quelle televisivi; entrambi pagherebbero in modo trasparente in base all’utilizzo. Si risolverebbero in tal modo anche le dispute tra British Telecom e il suo concorrente Mercury, proprio sui prezzi che Bt fa pagare a Mercury per utilizzare tratte della sua rete.
Nel resto d’Europa la situazione continua a essere sostanzialmente bloccata, dato che i monopoli statali cercano di trasformarsi in monopoli privatizzati. Deutsche Telekom possiede canali Tv via cavo, sia pure di vecchia generazione, largamente diffusi presso l’utenza domestica.
E da noi? La Tv via cavo praticamente non esiste: con una… lungimirante legge del 1975 (n. 105) sul cavo è stata posta una riserva di Stato, sottraendolo di fatto all’iniziativa imprenditoriale; e la riserva è stata mantenuta nella successiva legge 73 del 1991. La trasformazione in fibra ottica è limitata alle grandi dorsali. La privatizzazione di Stet segna il passo; ogni discorso sulla Tv diventa immediatamente un problema politico. Anche la soluzione in sé assai corretta di privatizzare l’azienda che possiede e gestisce l’infrastruttura di rete (separatamente da quella che fornisce i servizi) diventa delicata, caso mai a qualcuno venisse in mente di conferirle anche gli impianti fissi Rai e Fininvest. Un rischio e che tutto rimanga com’è: questo è il paese dove si penalizzano le vetture di grossa cilindrata salvo poi importarle
la Germania; o dove, per restare in tema, ci siamo tenuti il bianco e nero quando in tutto il mondo si guardava la Tv a colori, (e in alcuni paesi la si produceva pure). L’altro rischio è che Stet diventi monopolista pure del cavo: significativo: che Stet, a ogni buon conto, farà partire una sperimentazione in due città italiane. La strategia da Far West, utilizzare il vuoto legislativo e occupare il terreno per poi mettere tutti di fronte al fatto compiuto, ha già portato molto in alto, nel nostro paese, chi l’ha praticata.
Due battaglie dunque, per la conquista dei grandi utenti business e per il cavo. Se entrambe venissero vinte dagli attuali monopoli delle tre Telecom continentali il processo di privatizzazione avrebbe dato luogo a un risultato che non è esagerato definire mostruoso: un monopolio multimediale, diviso in tre zone geografiche. Quello che era cominciato come un processo di liberalizzazione si concluderebbe con il monopolio anche della trasmissione a banda larga, compreso il segnale televisivo. Si realizzerebbe quella che Eli Noam, dell’Università di Columbia, chiama l’età dell’oro della telefonia pubblica: continuare a essere monopolisti, ed essere liberati dal fastidio di essere un’azienda di Stato: viva la public company! Con tanti saluti alla concorrenza, alle riduzioni di costo, al cavo, e alle autostrade informatiche.

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