Intervista di Franco Garnero
Franco Debenedetti ha scavalcato all’ultimo minuto Mariella Scirea dell’Udeur. Per un posto da senatore nel collegio di Torino Centro. Arriva alla sua terza campagna elettorale dopo pressioni e riunioni fiume nei quartieri romani dell’Ulivo. Nel 1994 era stato proposto dai Progressisti di cui faceva parte anche Rifondazione comunista e si era affermato con un vantaggio di 3,5 punti sul leghista Gipo Farassino. Nel ’96 aveva vinto con un margine quasi doppio sul candidato del Polo Jas Gawronski.
Senatore, non prova imbarazzo per essere arrivato a Palazzo Madama grazie anche agli elettori di Fausto Bertinotti?
«Sono voti che non ho chiesto. Ho sempre espresso chiaramente, scritto e praticato le mie opinioni sulle questioni di natura economica. Ho elaborato progetti di legge coerenti con le mie posizioni e ho votato anche contro le indicazioni del mio gruppo parlamentare quando ho ritenuto di doverlo fare. Chi mi vota sa che non condiziona il mio comportamento politico».
Come giudica il fatto che l’Ulivo abbia riflettuto a lungo prima di candidarla e sia per ora orientato a escludere anche una personalità come Gian Giacomo Migone?
«Nel caso di Migone vige la regola dei Ds: stop perché giunto alla terza legislatura. Per quanto riguarda invece la mia persona posso solo dire che in tutte le coalizioni è necessario bilanciare le rappresentanze e le presenze delle varie forze che le compongono. Non sono stato io ad essere messo in discussione, ma gli equilibri interni che si ottengono solo attraverso lunghe ed elaborate mediazioni».
È sicuro di non essersi fatto dei nemici in questi sette anni da parlamentare che possono aver tentato di ostacolare la sua riconferma?
«Come è noto alcune delle mi prese di posizione hanno destato delle perplessità in una parte del mio elettorato di sinistra. Personalizzazioni a parte, la cosa ha un significato politico: a sinistra la presenza di un esponente di chiare posizioni liberali viene considerata non come un’anomalia ma come una componente dell’insieme».
Come affronta questa nuovi campagna elettorale?
«Con la serenità e la fiducia di chi sa di aver fatto bene il proprio la voro per sette anni. Che ho riassunto in un volume che ho intitolato “Sappia la destra”».
Il 13 maggio ci sono anche le elezioni amministrative. La scelta di candidare Sergio Chiamparini da parte dell’Ulivo le sembra azzeccata?
«Come tutti ho vissuto con gran de emozione la scomparsa di Domenico Carpanini, il primo candidato sindaco del centrosinistra. Con Chiamparino siamo anche amici. Siamo molto vicini anche politicamente perché lui è tra i liberali dei Ds. Sono convinto che sia dotato di grande duttilità e fiuto politico. Non dimentichiamoci che fu lui, nel ’93, uno degli “inventori” della candidatura di Castellani».
Quindi chi non è soddisfatto di queste ultime due amministrazioni può vedere nell’attuale candidato sindaco dell’Ulivo uno dei responsabili?
«Beh, se vuole, sì. Ma Castellani va giudicato per i suoi otto anni di governo della città. Io ne dò un giudizio positivo. E posso ben dirlo, perché non ho mancato di “tirarlo per la giacchetta” quando ritenevo che fosse utile per fare di più: per esempio sulla lentezza con cui ha proceduto alla privatizzazione delle aziende municipalizzate».
marzo 28, 2001