Intervista di Dario Di Vico
«Al prossimo consiglio di amministrazione della Rai va affidato un mandato esplicito di studiare e mettere a punto un progetto di privatizzazione della tv di Stato. Questo è il modo per fare un passo in avanti e lasciarsi alle spalle dibattiti puramente ideologici». Il senatore diessino Franco Debenedetti sta seguendo con attenzione lo sviluppo del dibattito sugli assetti del sistema radio-televisivo e pensa che la sinistra debba avere l’ambizione di giocare un ruolo attivo nel processo di privatizzazione.
In questo momento a farla da padrone sono le manovre e le polemiche sulle nomine.
«Che la temperatura in prossimità della scadenza del Cda Rai salisse era prevedibile. E bene ha fatto Carlo Azeglio Ciampi a ricordarci quanto prevede il protocollo 32 del trattato comunitario di Amsterdam. Il canone non è considerato aiuto di Stato in quanto è finalizzato a una missione di servizio pubblico.
In Europa il settore è investito da un processo di riorganizzazione che ne sta mutando la mappa.
«E noi restiamo isolati da tutto ciò che accade al di là delle Alpi a causa del duopolio che blocca tutto e compromette lo stesso sviluppo industriale del settore. Per questo bisogna far presto».
In concreto che vuol dire?
«Tradizionalmente la sinistra è partita dalla rivendicazione di una legge di sistema e l’ha anteposta alla privatizzazione della Rai. Ricordo gli interminabili dibattiti della commissione Bogi-Napolitano e quelli per il 1138. Basta. Rovesciamo quest’impostazione ideologico-deduttiva e partiamo dal business: Misuriamoci su un progetto credibile che simuli la vendita di una o due reti. Ovviamente per essere appetibile la nuova azienda messa sul mercato dovrebbe avere un perimetro largo e un’ipotesi di conto economico attraente».
E le regole del sistema resterebbero le stesse?
«No. In questo caso le condizioni della privatizzazione possibile determinano le condizioni della liberalizzazione necessaria. E’ chiaro che nessuno comprerebbe due reti se il concorrente continuasse ad averne tre nonostante la sentenza della Corte Costituzionale, così come è evidente che nessuno accetterebbe tetti pubblicitari diversi da quelli dell’avversario».
All’acquisizione delle reti Rai potrebbe concorrere anche un soggetto straniero? E che ne pensa dell’ipotesi di creare una public company?
«Non credo che si possa discriminare un soggetto comunitario. E poi la Rai è più piccola di Telecom per la quale sono venuti fuori in successione due compratori italiani, Colaninno e Tronchetti Provera. Quanto alla public company non mi risulta che in Italia ce ne siano. E avere come concorrente Mediaset richiede una leadership molto netta. Per cui dovendo scegliere tra il pluralismo e la public company non ho dubbi: la priorità va al bene pubblico costituzionalmente garantito, il pluralismo».
Nel mandato affidato al Cda Rai dovrebbe essere indicata una data?
«Una volta d’accordo sul percorso si può pensare di completare l’operazione di vendita entro il dicembre del 2003. Dovrebbe chiederlo la sinistra, in modo che rimanga un lasso sufficiente di tempo prima delle elezioni politiche».
Rutelli ha proposto che sia privatizzata una rete Rai e una Mediaset.
«Non credo che si possano sommare reti nate da culture differenti, per dirla con il professor Sartori nascerebbe un cane-gatto. Quanto a Mediaset esiste la sentenza della Corte Costituzionale che indica a Retequattro la via del satellite. E Fede è già un canale tematico».
febbraio 2, 2002