Debenedetti: da imprenditore gli riconosco un merito storico
«Di fronte a un’opinione pubblica ubriacata da brandelli di informazione, da voci e insinuazioni, bisogna restituire l’onore perduto al significato di parole come Scalata e Opa». E ancora: «Massimo D’Alema ha avuto il grande merito storico, quando era presidente del Consiglio, di non aver ostacolato l’Opa-Telecom, rendendo possibile un grande momento di modernizzazione del Paese». Così, il senatore Franco Debenedetti commenta queste giornate difficili per la Quercia. Ma prima, vuole fare una premessa.
Quale?
«Io sto con i Ds, ma ho una storia diversa dalla loro. Avverto a volte un’irriducibile differenza di cultura originaria, fra noi, ma anche una non strumentale convergenza di obiettivi: la liberalizzazione del nostro Paese».
Lei nasce imprenditore: è possibile far comprendere il senso di questa convergenza ai suoi colleghi?
«Sì, ed è per questo che ho mandato a quattromila di loro una copia del mio libro “Grazie Silvio”, accompagnata da una lettera in cui spiego che con Berlusconi quegli obiettivi sono più lontani. Io vengo da quel mondo: sono loro il referente cui mi rivolgo automaticamente».
Scalata e Opa, dunque, che parole sono?
«Due belle parole, perché indicano cose positive. Si sono rivelate uno strumento ineguagliabile per aumentare l’efficienza del sistema. Sono anche una grande apertura di libertà per l’imprenditore, analoga alla libertà di operare in territori che la liberalizzazione ha affrancato dalla mano pubblica».
E’ per questo che considera l’opa-Telecom una pietra miliare?
«Sì, e per arrivarci fu fondamentale la legge Draghi che nel 1998 Ciampi, da Ministro del Tesoro, fece approvare. Alla sua prima applicazione ricordo lo stupore, quasi l’indignazione, con cui reagì l’allora titolare dell’azienda Franco Bernabè. Tutto perché si era osato attaccare il fortino Telecom, formato da azionisti che obtorto collo avevano preso a prezzi di saldo pacchetti azionari dello 0,6%».
Eppure, D’Alema è sotto attacco.
«Le insinuazioni di cui è oggetto saranno pure una “non notizia”, come dice Prodi, comunque sono sintomatiche di un clima. Di una tendenza a fare di tutta l’erba un fascio, come quando si parla di “sostanziali convergenze” fra operazioni e gestioni che in realtà sono molto diverse fra loro.
D’accordo, i casi Antonveneta e Bnl non sono sovrapponibili. Ma sul ruolo di Unipol ci sono perplessità anche a sinistra.
«Cooperazione e voto capitario sono altri termini che meritano migliore considerazione, anche se non appartengono alle forme di governance a cui sono abituato. La mia cultura, anche la mia storia, mi portano ad apprezzare le sfide al “disordine costituito”. Il compito della politica è aumentare la libertà dell’imprenditore, valutare se c’è la possibilità di convogliare forze sane del Paese per iniziative la cui validità va valutata dal mercato e dalle autorità che lo regolano. E Unipol è una società quotata in borsa da 20 anni, la cui quotazione fu organizzata dalla stessa Mediobanca di Cuccia che negò a Fininvest la sua consulenza professionale costringendola a rivolgersi a Geronzi. Non sta ai politici fare g1i esami dei sangue a chi si impegna in certe operazioni».
Neanche se si tratta di personaggi che poi alla politica vengono inevitabilmente riferiti, come il presidente di Unipol Consorte?
«Il movimento cooperativo ha radici storiche e ideali nella sinistra, basate su valori che vanno conservati: altro che collateralismo. Ma chi si vanta di portare quelle bandiere, deve avere un comportamento particolarmente rigoroso».
dicembre 23, 2005