Intervista di Federico De Rosa
«Condizione indispensabile perché un bene sia venduto, è che chi ce l’ha voglia venderlo. La Rai è controllata dalla politica, e non esiste una maggioranza politica disposta a perdere questo controllo». Il senatore Franco Debenedetti non ha dubbi. Pur essendo favorevole alla privatizzazione della tv pubblica, dietro il percorso tracciato dalla Legge Gasparri vede un rischio: «La Gasparri mantiene il controllo della politica sulla Rai, lo scherma dalle critiche maggiori, lo perpetua per sempre».
Ma se non si voleva privatizzare perché il Parlamento ha detto di sì?
«In tre legislature ho visto passare: la commissione Bogi – Napolitano, la legge Maccanico 1 e 2, e ora la Gasparri. In commissione e in aula. Convegni, emendamenti, votazioni: se non si riconosce che la politica non vuole perdere la presa, si parla d’altro. E poi, se la Gasparri lo volesse, prescriverebbe la data entro cui lo Stato perderà il controllo della RAI: l’abbiamo chiesto in tutti i modi, ma il ministro non ha mai risposto».
Si sa però che sarà venduto il 20%. C’è stata la fusione Rai spa e Rai Holding. Insomma, si sta andando avanti.
«Verso dove? La Gasparri toglie ai presidenti di Camera e Senato il potere di nomina del consiglio di amministrazione, e lo consegna nelle mani della Commissione parlamentare di vigilanza Rai. Nominerà tutti gli amministratori finché il Tesoro avrà venduto meno del 10% e dopo, se venderà il 20%, ne nominerà 7 su 9. E anche quando lo Stato avrà venduto l’ultima azione, il presidente dovrà avere il gradimento del Parlamento. Non solo».
Cos’altro non va?
«Il peggio: la legge pone un limite dell’1% ad ogni azionista, vieta sindacati di voto superiori al 2%. Così perpetua il potere della politica anche dopo la completa alienazione: perché un azionariato frammentato è debole, e i deboli cercano aiuto. E dove, se non nella politica? Per mettere la pietra tombale, la legge prevede che questi limiti siano “non modificabili ed efficaci senza limite di tempo”».
Uno statuto si può sempre cambiare.
«L’opinione prevalente è che bisognerebbe eliminare la norma. Con un’altra legge. Cioè mai».
Perché allora i privati dovrebbero comprare le azioni della tv pubblica?
«Me lo chiedo anch’io. Perché lo Stato garantisce il canone e, quindi, una buona redditività? Chi spende 50 milioni di euro – come dicono – per l’1% della Rai, sa di diventar socio della politica: e gli va bene così. Chi vede nell’ingresso dei privati l’inizio di un processo virtuoso, e conta sull’azione di amministratori indipendenti, non considera la realtà: la politica non vuole perdere il controllo e la legge è fatta per garantirlo».
Ma dopo il 2006 si può procedere a dismissioni di aree di business, e lo scenario potrebbe cambiare, no?
«Privati che entrino nel capitale, con questi limiti, sarebbero interessati solo a massimizzare le entrate sicure. Quindi: se è chi ha l’1% che vuole acquistare una rete, si troverà contro il restante 99%. Se è chi è rimasto fuori, avrà nemici tutti i soci privati, a meno di “comprarli” con un’offerta talmente fuori mercato che compensa più delle entrate compromesse».
Lei riscriverebbe la Gasparri?
«Che questa legge miri a proteggere Mediaset, era scontato in partenza. Ma contiene anche concetti e innovazioni interessanti. E ‘la finta privatizzazione il fatto gravissimo. E irreversibile: una volta venduto il 20% di cui si parla, il “percorso virtuoso” sarà bloccato per sempre».
ottobre 22, 2004