di Alessandra Puato
Prezzi dei biglietti alle stelle. E aumento dei costi per i contribuenti. È questa la conseguenza delta liberalizzazione del trasporto ferroviario in Gran Bretagna e Svezia, sottolinea Ferrovie dello Stato Italiane (Fsi), dati alla mano, in risposta all’Istituto Bruno Leoni (Ibl) che propone all’Italia di seguire quei Paesi nell’apertura del mercato dei treni. Il messaggio è chiaro: volete lo scorporo della rete, il gestore dei binari diviso da quello dei vagoni? Volete spezzettare Fs in tante società e lasciare che i privati offrano i treni, a gara, sulle tratte più produttive, come in Svezia, o in franchising per segmenti territoriali, come nel Regno Unito? Preparatevi a dire ai cittadini — sostiene Fs — che, per viaggiare in treno, potranno spendere più di prima.
La settimana scorsa Mauro Moretti, amministratore delegalo della società ferroviaria controllata al 100% dal ministero dell’Economia, ha minacciato di tagliare i treni locali per mancanza di fondi, temendo la diminuzione, causa crisi, dei trasferimenti pubblici dalle regioni. «Non si possono pretendere investimenti sulla base di un piano incerto», ha detto Moretti. Ora il mappo di Stato va all’attacco sulle liberalizzazioni, portando altro materiale per la neonata (ma non ancora operativa) Autorità dei Trasporti che, per il decreto Cresci Italia, dovrebbe tra smettere a governo e Parlamento una relazione sul grado di separazione della rete ferroviaria nei Paesi europei entro il 30 giugno. Termine non tassativo, elle difatti scadrà. Ma Fs, minacciata, si muove.
Più incentivi, più traffico
Sul Corriere Economia del 14 maggio l’istituto guidato da Alberto Mingardi aveva proposto una via per aumentare livello di servizio e concorrenza nei treni italiani, quella dei «quattro Moretti»: dividere in quattro le Ferrovie dello Stato, con altrettanti consigli d’amministrazione: trasporto passeggeri, merci, treni regionali, rete (i binari). E poi privatizzare tutto, tranne la rete. Dove la netta separazione (gestionale, la rete alla fine è rimasta di Stato), con privatizzazione, c’è stata, come in Inghilterra e Svezia, il traffico ferroviario è aumentato, nota Ibl. Ma non c’è correlazione tra separazione, liberalizzazione e crescita del trasporto ferroviario», ribatte ora Ferrovie. Che porta la sua versione. «Sia nei Paesi liberalizzati sia in quelli a monopolio, merci e passeggeri su rotaia aumentano grazie ad altro — dice Barbara Morganti, direttore centrale Strategie e pianificazione del gruppo Fsi: – le politiche di sostegno del trasporto pubblico locale, gli incentivi alle merci su ferrovia, i disincentivi sulla gomma. Politiche assenti in Italia».
Se si viaggia di più in treno, è la tesi di Ferrovie, non è insomma perché chi ha i binari è un ente diverso da chi gestisce i treni, o per il diverso amministratore delegato di quattro società, magari private, ma per «l’impegno finanziario crescente dello Stato, sia nel sostegno al trasporto pubblico locale, sia negli Investimenti in infrastruttura». A supporto, Morganti porta la crescita del traffico in Paesi simili all’Italia come Francia e Germania.
I rincari inglesi
Quanto ai prezzi, «le statistiche dimostrano un incremento del 14% delle tariffe ferroviarie in Gran Bretagna dai 2004 al 2011, in termini reali — dice Morganti, citando il rapporto National Reti Trends dell’Ora il regolatore inglese. E in termini assoluti le tariffe del trasporto locale sono in media, rispetto all’Italia, il doppio in Gran Bretagna e il triplo in Svezia. Il costo del sistema ferroviario dal 1997, nel suo complesso, è raddoppiato per i contribuenti inglesi. Quello svedese, è aumentato di due terzi. In Italia è sceso del 5%, nonostante la costruzione dell’Alta velocità». I dati del ministero dei Trasporti britannico confermano: +17%, al netto dell’inflazione, tariffe ferroviarie fra il ’97 e il 2010, cresciute più dell’indice dei prezzi al consumo e più di tutti i costi dei veicoli a motore.
Rincara Morganti: «Nel trasporto regionale il differenziale di prezzo è abissale: più del doppio in Gran Bretagna, più del triplo in Svezia»; e su dati 2011 Nash, Nilsson, Link mostra un prezzo medio del biglietto dei treni regionali, in Italia, di 3,6 centesimi per passeggero-chilometro, contro i 7,6 in Germania, gli 8,1 in Gran Bretagna, gli 11,7 in Svezia. Stesse proporzioni sulla lunga percorrenza. È chiaro che il potere d’acquisto di tedeschi, svedesi e inglesi è maggiore di quello degli italiani, ma il dubbio resta: le liberalizzazioni devono essere un vantaggio per i cittadini. Che strada seguire, dunque?
Un parere cruciale sarà quello dell’Authority, il regolatore destinato a sbrogliare il ginepraio, che però è ancora in alto mare. Il 9 maggio ne sono stati designati il presidente, Mario Sebastiani, e il collegio, ma la sede non c’è (si sono candidate Roma, Milano e Torino) e i tre membri non si sono mai riuniti. Mancano l’ok di quattro commissioni parlamentari, il varo del Consiglio dei ministri e il decreto del presidente del Consiglio. Devono insediarsi poi 50 persone: tutte, probabilmente, dal ministero guidato da Corrado Passera. Che vorrebbe far partire l’Authority a metà luglio, ma si vedrà.
Docente di Economia politica a Tor Vergata, ex consulente dei ministri dei Trasporti, Burlando Treu e Bersani, Sebastiani studiò la liberalizzazione dei treni dal ’95 al 2001 e proprio lui elaborò un progetto di legge per istituire l’Autorità dei Trasporti. Ora ha modo di applicare la teoria alla pratica, ma chi lo invidia.
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