Signor Ministro,
la definizione «tecnico prestato alla politica», mi è sempre parsa in sé un po’ ambigua. Chi è dotato di grande sapere specifico sceglie la politica, oltre che per una legittima ambizione, per la convinzione che la tecnica fornisce lo strumento per sapere le cose, ma è la politica a fornire lo strumento per realizzarle. Questa scelta comporta una continua tensione, quella che mi sembra di leggere nella sua espressione concentrata e severa. E riconduco alla sua storia ed alla sua esperienza la durezza di certe sue precisazioni.
Per questo, quando ho letto il piano in sei punti illustrato dal Prof. Andreatta, ho subito pensato a Lei: un piano che, attraverso il rientro nello Sme, la convergenza con gli obbiettivi di Maastricht, e con un grado di realismo fiscale che finora al Governo è mancato, mira diritto ad annullare quel differenziale sui tassi di interessi che comporta un onere improprio di 80.000 Mld l’anno, cui si devono aggiungere i 46.000 Mld pagati dal sistema delle imprese.
Ho pensato a Lei perché mi azzardo a immaginare che tante e tante volte cercando i modi per ridurre questo tremendo onere, anche a Lei sarà venuta in mente una soluzione analoga, e anche a Lei sarebbe piaciuto avere la libertà di poterla proporre. Le soluzioni, dopotutto, non sono tante, certe idee sono nell’aria. Lei della storia recente è stato non solo spettatore, ma attore: con ogni probabilità non è sua la colpa se il Governo di cui è membro Le ha consentito di attestarsi a difesa di un solo intervento strutturale, quello sulle pensioni, che, in assenza di altri correttivi più equi, finisce per farLa apparire un cinico, indifferente agli effetti dei tagli che propone.
I suoi colleghi, chi per aver la politica praticata a lungo, chi per non averla praticata affatto, possono più di Lei sottilmente destreggiarsi tra i compromessi o spensieratamente inseguire i sogni. Un suo collega (Martino) fa un’audace dichiarazione sulla nostra posizione in Europa, un altro (Tremonti) giura sull’intoccabilità dello strumento fiscale, altri (Fiori, ad esempio) disinvoltamente occupano posizioni: e Lei automaticamente ne calcola le conseguenze su questo nostro malandato bilancio, che faticosamente cerca di tenere insieme. Agli altri l’invidiabile leggerezza di poter inseguire (un po’ in ordine sparso, ne converrà) i propri obbiettivi politici, a Lei la pesante fatica di calcolarne le conseguenze economiche.
Per questo credo che non Le abbia fatto piacere leggere ieri le proposte del Prof. Andreatta: non perché le ritenga non praticabili in assoluto, ma per saperle difficilmente praticabili da Lei: ora almeno. Lei sa bene che condizione del progetto Andreatta è un rigido contenimento dell’inflazione, e che ciò si ottiene solo con un vasto accordo sociale.
Spero che Lei mi perdonerà se mi son preso la libertà di attribuirLe pensieri miei. Nei prossimi giorni, ci troveremo, Lei autorevolmente al banco del Governo, io su quelli dell’opposizione: forse è improprio il modo di chiederlo, non certo improprie sono quella sede e quella occasione per farci sapere che cosa Lei pensi davvero intorno alle misure aggiuntive alla Finanziaria che l’Europa ci ha già chiesto, che Andreatta — per la parte meno disattenta delle opposizioni — articola, e che Lei per primo, nella sua coscienza, sa essere irrinunciabili.
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dicembre 2, 1994