Signor Governatore onorario, il controllo dell’espressione, oltre che dell’eloquio, diventa, nei banchieri centrali, una seconda natura: sanno che ogni loro gesto è analizzato, ogni loro giudizio soppesato, un loro aggettivo può rasserenare i mercati o gettarli nello scompiglio, Per questo, quando sere fa la vidi nelle sale del Senato alla commemorazione di Giovanni Spadolini, presenti, tra gli altri, Scalfaro e Dirli, non mi aspettavo certo di cogliere, nel suo sorriso cortese, nel suo volto attento e disteso, nessun indizio dei pensieri che pure, in questi giorni, le devono aver attraversato la mente. Perché tra tanto parlare, più o meno a proposito, di anomalie italiane, credo che lei, signor Governatore, meglio di altri, avrebbe i titoli per portare la sua personale riflessione.
In questi giorni un Governo formato da un altro banchiere centrale sta ottenendo la fiducia del Parlamento. Un Governo di destra, presieduto da un ministro del precedente Governo, e da questo indicato al Capo dello Stato, si insedia grazie al voto favorevole di quasi tutta la sinistra. Ventun mesi fa, si insediava il Governo da lei presieduto, e in cui lei aveva chiamato ministri di quella stessa sinistra. Era la prima volta dal 1947, ma i ministri furono precipitosamente ritirati ed il suo Governo non ebbe, allora, dalla sinistra, che una benevola astensione. Immagino come lei in cuor suo giudicò, allora, quella decisione: il mestiere del banchiere centrale abitua a saper contrapporre la fermezza all’emotività, la calma all’impulso. Cerco di immaginare come lei giudichi, oggi, le scelte delle stesse forze politiche.
Certo, poi, in campagna elettorale, lei fu, della sinistra, il candidato in pectore; un’indicazione pero mai esplicitata, una scelta mai dichiarata: per troppa delicatezza o per poca convinzione? Certo, da allora tanto e cambiato nel nostro panorama politico. Ma resta in ogni caso l’anomalia di un’opposizione che vota un esponente sicuramente a sé estraneo, se non avversario, lo sostiene con il proprio voto oggi, al rischio di dare in tal modo un avallo al proprio avversario di domani.
«Carpent tua poma nepotes», ha citato il Presidente Dini: mi sfiora il pensiero che lei possa, dei «poma» e dei «nepotes», dare un’interpretazione diversa. Certo, e passato del tempo e il tempo, per un banchiere, ha un valore quasi assoluto: il tempo è di Dio, insegnava la Chiesa e proclamano ancor oggi i fondamentalismi, per giustificare il divieto di prestare soldi a interesse. Proprio per questa sensibilità, forse lei sarà stato indotto a riflettere quanta parte abbia avuto il tempo nel produrre alcune di queste nostre anomalie. Il suo Governo volgeva al termine, e ancora c’era da completare il passaggio al maggioritario che assicurasse la stabilità dell’esecutivo, c’era la questione dell’informazione, si apriva quella del conflitto di interessi, di cui tutti gli elementi erano, se non noti, facilmente prevedibili. Fummo in tanti a non cogliere quelle possibilità, non si seppe e non si volle utilizzare quella stretta finestra. Le conseguenze si vedono oggi. Forse lei ne ebbe consapevolezza, lei abituato a sapere che il valore di ogni azione è inscindibile dalla sua collocazione temporale, Ma il rispetto del tempo è anche rispetto delle scadenze, e ciò finì per prevalere.
Oggi, di nuovo, il tempo è protagonista dei dibattito. In nove mesi è caduto un Governo che si proponeva di durare anni, e che proprio da questa ossessione fu indotto a mostrare i propri caratteri più insopportabilmente accaparratori, a compiere i propri errori più gravi. Anche adesso, il dibattito sulla fiducia all’esecutivo Dini si è risolto in quello sulla sua durata: e gli stessi che due anni fa più recisa-mente esigevano la fine del suo Governo, di quello nuovo oggi vorrebbero in cuor loro dilatare i tempi. Un nuovo paradosso: imporre brevità a chi era più vizino e prestarsi a far durare chi è più lontano.
Il tempo è di Dio: ma questo, ahimè, non è di grande aiuto agli uomini.
Mi creda, con profonda stima.
gennaio 28, 1995